La scuola italiana ha bisogno di confrontarsi con il resto del mondo. Bello restare bambini, ma le responsabilità non si possono derogare. Rocco, Federica, Mina, Celeste, Massimiliano, Valentina, Giuseppe, Marisa, Pasquale, Betulia, Tony, Andrea, Eliana, Antonio hanno portato la propria esperienza e talvolta i ricordi da bambino, al dibattito condotto da Sabina Iadarola e Adriana Niro
(UMDI-UNMONDODITALIANI) Nel momento stesso in cui dubitate di poter volare, cessate anche di essere in grado di farlo. Ricordate Peter Pan? “Chi di voi non si è sentito bambino almeno una volta nella vita? E soprattutto, perché abbiamo bisogno di essere bambini e scrollarci di dosso le responsabilità da adulti?” La domanda è risuonata tra le persone disposte a circolo nella redazione del quotidiano internazionale Un Mondo d’Italiani, sede del Centro Studi Agorà e del Servizio Civile, progetti Turchese e Argento Molise, alla visione di “Rushmore” per l’appuntamento settimanale Cineforum “Places of Ideas” UMDI. Sabina Iadarola, studentessa al terzo anno di Medicina Unimol, già volontaria di Servizio Civile (Progetto Turchese nel 2015-2016) e attualmente OLP per i volontari in servizio a Bojano, ha diretto il dibattito (assieme ad Adriana Niro) imprimendogli una direzione più specificatamente scientifico-sanitario, parlando della sindrome di Peter Pan.
Cosa c’è alla base della sindrome?
“La sindrome di Peter Pan – ha cominciato Sabina nell’attenzione generale – scientificamente chiamata nanotenia psichica, è quella situazione psicologica in cui si trova una persona che si rifiuta, o è incapace di crescere, di diventare adulta e di assumersi delle responsabilità. La sindrome, nelle sue estreme conseguenze, è una condizione psicologica patologica in cui un soggetto rifiuta di operare nel mondo “degli adulti” in quanto lo ritiene ostile e si rifugia in comportamenti ed in regole comportamentali tipiche della fanciullezza. Alla base di tale sindrome potrebbe esserci un trauma infantile che blocca lo sviluppo emozionale del bambino, ma non quello intellettivo e cognitivo. Partendo dal presupposto che è l’amore dei genitori che produce soggetti sereni ed integrati nel tessuto sociale di appartenenza, in questo caso, la possibile causa potrebbe risiedere proprio nella mancanza di quell’amore. Quindi una carenza affettiva provoca in questi bambini una crescita disarmonica caratterizzata da un malessere profondo che li coglie impreparati dovendo affrontare il mondo da e dei grandi. Da adulto Peter Pan non saprà come gestire i propri sentimenti correndo magari il rischio di cercare nella propria compagna l’amore materno che, non avendo mai ricevuto, potrebbe non saper gestire”.
“L’universo raccontato da Anderson – ha proseguito la studentessa di Medicina – è una realtà bizzarra, a tratti fiabesca, popolata di individui altrettanto strambi che, quanto a pensieri e comportamenti, si intonano ad essa perfettamente. Quasi tutti ragazzini o adulti mai cresciuti, i personaggi dei suoi film agiscono in totale assenza di malizia e con una convinzione ed una testardaggine ostentatamente infantile. sempre E di fronte a personaggi così difficili da prendere sul serio, anche l’amore riesce a diventare tale. Questo amore impossibile e l’espulsione dalla Rushmore lo costringeranno a confrontarsi con un’inevitabile crescita emotiva e con la ricerca di un suo posto nel mondo al di fuori della scuola. Crescere, passare dalla fanciullezza all’età adulta, dall’adolescenza alla piena maturità, dovrebbe essere un passaggio naturale così come lo è stato da sempre ma non per questi personaggi. Per Max Fischer che si trova catapultatato in una realtà adulta fuori dalle mura scolastiche e il suo amore per bizzarro nei confronti di un insegante che ancora immersa in un triste passato non riesce ad andare avanti.”
La riflessione di Adriana
Assieme a Sabina, Adriana Niro, (neolaureata in Lettere e Beni Culturali, volontaria di Servizio Civile, Progetto Turchese, nel 2015-2016. “Lo spunto dal quale vorrei far scaturire delle riflessioni riguarda l’intelligenza emotiva ed una eventuale riforma scolastica – spiega l’ex volontaria del servizio – che riguardi le modalità di insegnamento. A partire dal film c’è uno scambio di battute interessanti tra il signor Blume ed il presidente della Rushmore: B: “che ragazzo acuto!” P: “è uno dei nostri peggiori studenti” Notiamo come l’impegno di Max sia riservato esclusivamente alle attività extracurricolari piuttosto che alle classiche materie di studio, facendo emergere uno spiccato talento per il teatro. Un’altra battuta catalizza la mia attenzione, stavolta è Max a parlare del segreto della felicità: “bisogna trovare quello che ti piace fare e farlo per tutta la vita”, riferendosi alla frequentazione della scuola Rushmore. La sindrome di Peter Pan (tema principale del film posto in analisi) non per forza deve essere vista come un qualcosa di negativo: essere bambini significa essere curiosi e predisposti all’apprendimento tramite la gioia della scoperta; spesso sistemi di apprendimento troppo datati precludono l’apprendimento e la voglia di apprendere dei discenti in forza di una mania del plasmare menti, piuttosto che tendenza all’emersione dei talenti. L’insegnante ideale dovrebbe aprire l’alunno ad un orizzonte di possibilità in cui questo non solo sia felice di apprendere, ma sia anche in grado di scoprire se stesso, tra attitudini e capacità. Anche il sistema scolastico italiano dovrebbe far tesoro di determinate impostazioni, prendendo spunto dalle ricerche di fenomenologia dell’educazione, portati avanti dallo studioso Vincenzo Costa, al fine di non creare esclusivamente menti concepite come meccanismi computazionali, ma fare in modo di formare persone consapevoli di loro stesse”.
Federica Notte
“Io penso che la scuola italiana tradizionale, sopprima spesso la creatività del bambino, ad esempio utilizzando in maniera massiccia schede prestampate da compilare, completare, colorare, senza che l’alunno abbia la possibilità di intervenire facendo emergere la propria personalità, la propria creatività”.
Mina Cappussi
“L’organizzazione della scuola italiana è pensata per una popolazione “media” e può andar bene per alunni di medie capacità, integrati e inquadrati. Ma ci sono soggetti, come il protagonista di Rushmore, che hanno grandi capacità, addirittura genialità, in campi non tradizionali, quali possono essere il teatro, la musica, il management di eventi, come nel caso di Max Fischer. La scuola italiana dovrebbe aprirsi alla diversità dei talenti per consentire a ognuno di trovare la propria strada, valorizzando le proprie peculiarità. Il sistema scolastico italiano è di altissimo livello per quanto riguarda i contenuti, ma siamo al Medioevo per quanto riguarda il rapporto docente-discente, che offre scarse opportunità di interazione a quest’ultimo.
Antonio Rocco
“Non sono d’accordo con l’impostazione del direttore. E’ vero che il protagonista del film aveva dimostrato di avere talento nel teatro e nell’organizzazione degli eventi, ma questo non significa si possano tralasciare le basi della conoscenza e la didattica tradizionale. Penso anche che solo avendo una cultura di base ad ampio raggio sulle materie classiche, la creatività e l’innovazione, si possano innestare in maniera più produttiva”.
Celeste Bucci
“Tutti nella vita ci siamo sentiti almeno una volta bambini; la spensieratezza e la curiosità tipicamente infantili, spesso si perdono nell’età adulta: il segreto sta nel recuperare quella parte ingenua, candida, di continua meraviglia, che è il fulcro della nostra esistenza”.
Antonio Romano
“Nel film ci sono alcune scene che mettono in evidenza una rivalità infantile tra un ragazzino di 15anni e un uomo adulto. Mi sembra di capire che siate tutti concordi nel riprovare l’atteggiamento dell’adulto che si vendicava su Max. Io ritengo che quel gioco sottile di ribaltamento delle parti, non sia del tutto sbagliato”.
Andrea De Marco
“Il discorso di Antonio presenta, a mio avviso, delle incongruenze. In una relazione, di per sé sbilanciata, adulto-bambino, tocca al soggetto più maturo condurre il gioco tenendo, in considerazione che di fronte ha un individuo che sta costruendo la propria personalità ed è quindi una persona in divenire. Io non avrei mai rotto la bicicletta ad un quindicenne per rifarmi del torto subito”.
Antonio Di Monaco
“Se dipendesse da me non crescerei mai. L’infanzia è un momento magico nel quale ogni giorni si va incontro alla vita con gli occhi della meraviglia”.
Massimiliano Rossi
“Il film è, da un punto di vista tecnico, perfetto. Mostra una serie di inquadrature simmetriche e studiate nei minimi particolari, per esempio, i protagonisti delle varie scene, sono quasi sempre perfettamente al centro della cinepresa. La scenografia appare ben calibrata e segue schemi di colori complementari accuratamente scelti dalla tavolozza cromatica. Anche la sceneggiatura risulta un capolavoro: la psicologia di ogni personaggio è approfondita e mostrata nelle sue molteplici sfacciature emozionali. In pratica, guardare un film Wes Anderson, è come ammirare una galleria di quadri”.
Signor Pasquale da Spinete
“Anche il linguaggio usato in un film è importante e spesso il dialetto rende sfumature inedite”.
Betulia Espinoza
“Trovo che ci sia un abisso tra l’educazione in Italia e quella del Venezuela dal quale provengo. Nel mio Paese c’è maggiore rispetto da parte dei giovani e nessuno si sognerebbe di interloquire con un adulto nel modo che vedo spesso qui in Italia, con fare prepotente”.
Marisa Di Lollo
“Trovo che ci sia molta maleducazione in giro e che nella scuola si rifletta la crisi della famiglia”.
Eliana Petruccelli
“L’infanzia è il momento più bello della vita e sta a noi proteggerlo e mantenere dentro di noi l’esuberanza tipica del bambino
Giuseppe Priolo
“Il sentimento che seconde me il film ha evidenziato in modo più pregnante è il tradimento. Mi sono sentito coinvolto quando il professore ha avviato una storia d’amore con la docente, tradendo la fiducia e i sentimenti di Max Fisher”.
Valentina Lancellotta
“Anche per me il tradimento nel film mi ha colpito particolarmente. Nella vita accade spesso che le persone tradiscano la nostra fiducia ed ho imparato con il tempo a superare la delusione mettendo in atto meccanismi di difesa”.