Nuovo onere della prova introdotto dalla legge 31 agosto 2022 contiene modifiche al processo tributario. L’art. 6 ha aggiunto un nuovo comma 5-bis nell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992. Spetta al contribuente, secondo la Cassazione sia ai fini della deduzione del costo sia ai fini della detrazione dell’Iva, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. È sufficiente che venga dimostrato che il contribuente “sapeva” che l’operazione rientrava in uno schema fraudolento
Nuovo onere della prova rende insufficienti le scritture contabili, le fatture e il pagamento effettuato per dimostrare l’effettiva realizzazione delle operazioni.
Nuovo onere della prova nel sistema fiscale italiano
Nel nostro sistema fiscale, la disciplina sulla prova è integralmente rimessa alla normativa nazionale, infatti, non esiste in Italia una disciplina diretta di fonte europea che regolamenti le modalità di produzione e il contenuto delle prove.
Dunque, riguardo la disciplina della prova, bisogna fare riferimento alla normativa dei singoli Stati membri, la quale non può pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione.
Le tutele dell’Unione Europea
Tra i valori comunitari tutelati dall’Unione europea sono presenti, la protezione dei mercati, la tutela dell’affidamento giuridico e della certezza del diritto e il rispetto del divieto di abuso della norma UE e del principio di proporzionalità.
È il contribuente a dover provare i fatti
Nell’ordinamento italiano, invece, la regola fondamentale di riparto dell’onere probatorio è disciplinata dall’articolo 2697 codice civile, per il quale “chi intende far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
legge 31 agosto 2022, n. 130
Il nuovo onere della prova introdotto dalla legge 31 agosto 2022, n. 130 “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari”, oltre a prevedere la svolta epocale relativa all’introduzione della magistratura tributaria professionale, contiene anche alcune modifiche al processo tributario disciplinato dal D.Lgs. n. 546/1992. Fra queste, l’art. 6 che ha aggiunto un nuovo comma 5-bis nell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992 sui “Poteri delle commissioni tributarie” (ora “Corti di Giustizia tributaria”).
L’introduzione del comma 5-bis all’interno dell’articolo 7 delle disposizioni sul processo tributario ossia del Dlgs 546/1992, prevede che sia l’Amministrazione a dover provare in giudizio le violazioni contestate, ma ha lasciato più che uno spiraglio circa un ampio dibattito sul tema.
Se manca la prova
Infatti, la nuova norma, introdotta dall’articolo 6 della legge. n. 130/2022, dispone che “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo in questio casi:
- se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria;
- se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
Cassazione: l’onere probatorio non è più gravoso rispetto al passato
Sulla portata del nuovo articolo 7 comma 5-bis si è già espressa la Cassazione, con le ordinanze n. 31878 e n. 31880 del 27/10/2022, precisando che la nuova disposizione “non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale”.
Basta la fattura?
I giudici di legittimità hanno chiarito che una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, sia ai fini della deduzione del costo sia ai fini della detrazione dell’Iva, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. I giudici hanno ribadito che tale onere non può ritenersi assolto con l’esibizione della sola fattura, oppure dimostrando la regolarità formale delle scritture contabili, ovvero che il pagamento è avvenuto, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione mai avvenuta.
Se il contribuente “sapeva”
La Cassazione ha ribadito che grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, tuttavia, precisano che la prova può essere anche solo indiziaria e non deve dimostrare la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né fornire la prova della sua piena consapevolezza della frode. Infatti, è sufficiente che venga dimostrato che il contribuente “sapeva” o “avrebbe dovuto/potuto sapere”, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione rientrava in uno schema fraudolento.
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