Non è mai troppo tardi andò in onda su canale Rai 60 anni fa. Fece in modo che molti italiani ricevessero un istruzione elementare, ed anche la finale licenza
Non è mai troppo tardi, il programma tv promosso dalla Rai, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, diede modo a molti italiani di avere la Licenza Elementare. Un istruzione che nel dopoguerra non era possibile a tutti, è stata data in modo gratuito ed esauriente da Alberto Manzi. La prima puntata di “Non è mai troppo tardi” andò in onda il 15 novembre del 1960, e ebbe grande successo. Sessant’anni dopo l’idea di avere un maestro in tv che fa scuola continua ad affascinare gli italiani. Nessuno ha dimenticato le lezioni di Manzi che non fu solo un maestro, ma anche uno scrittore, un viaggiatore, un educatore e persino un amministratore nella fase finale della sua vita quando fece il sindaco a Pitigliano (Grosseto).
Non è mai troppo tardi, le parole della figlia Giulia Manzi
“Se devo presentare papà direi che era uno scrittore – dichiara Giulia – Quella trasmissione è stata una costante nella mia vita. In casa usavamo il titolo per scherzare e tutti attorno a me parlavano di Non è mai troppo tardi, ma quell’innovativa idea della TV andò in porto non solo grazie a mio padre. Lui certamente ebbe l’intuizione di usare le immagini per comunicare. Era carismatico, ma se milioni di italiani hanno avuto la licenza elementare lo dobbiamo a quella Rete che il ministero dell’Istruzione seppe creare nel Paese. Eravamo nel Dopoguerra e la televisione non era ancora arrivata nelle case di tutti. Così si istituirono dei punti di ascolto: la gente si ritrovava nei bar, in parrocchia, a scuola per ascoltare “Non è mai troppo tardi”, ma con loro c’erano dei maestri che aiutavano le persone a risolvere gli esercizi”.
Non è mai troppo tardi: i disegni che hanno istruito l’Italia
Manzi era molto abile nel disegno. Aveva a disposizione un grosso blocco di carta posto su un cavalletto. Utilizzando un carboncino affiancava a semplici parole un disegno di riferimento. “Pensa – confida la figlia – che alle elementari e alle medie andava malissimo in questa materia perché non sopportava il disegno tecnico. Fu il professore delle superiori a scoprire il suo talento”. Sessant’anni dopo torna attuale la lezione di Manzi: “Ai tempi – racconta Giulia – la gente non aveva la possibilità di studiare, di leggere ma c’era un’educazione al pensare che oggi è sparita. Nel 2020 il problema è l’analfabetismo funzionale: più andiamo avanti più abbiamo difficoltà a comprendere il testo, il contenuto. E’ colpa di una scuola che si dimentica di ragionare e si ancora al voto, al registro di classe dimenticando di educare al pensare”.
Giulia, ricorda suo padre in una lezione all’asilo
La figlia di Manzi non fa fatica a fare qualche esempio: “Un anno papà venne al mio asilo a fare una lezione. Portò un acquario pieno d’acqua e ci mise degli oggetti per farci capire quelli che galleggiavano e quelli che affondavano. Da lì nacquero le nostre innumerevoli domande. Ecco il ragionamento”. Ella, per il futuro del Bel Paese dice: “Togliere la burocrazia. Non dobbiamo parlare di un nuovo Alberto Manzi, ci sono docenti che fanno anche meglio di papà ma sono castrati dalla burocrazia che non serve ad altro che a mantenere un controllo sull’educazione al pensiero libero”.
Cosa fece Manzi dopo 8 anni di conduzione tv?
Concluso il programma Manzi ritornò quasi a tempo pieno all’insegnamento scolastico classico, presso la scuola elementare Fratelli Bandiera di Roma. Veniva comunque interrotto di tanto in tanto per delle campagne di alfabetizzazione degli italiani all’estero e per diversi viaggi in America latina per collaborare alla promozione sociale dei contadini più poveri. Tornò alla ribalta nel 1981, allorché si rifiutò di redigere le appena introdotte “schede di valutazione“, che la riforma della scuola aveva messo al posto della pagella. Manzi si rifiutò di scriverle perché, disse, «non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, l’abbiamo bollato per i prossimi anni». La “disobbedienza” gli costò la sospensione dall’insegnamento e dalla paga.