Dal sogno di un amore assoluto al dolore lancinante per la partenza americana della giovane attrice eletta a sua musa ispiratrice
In un’inestricabile compenetrazione fra arte e vita, il cantautore agrigentino Alessandro D’Andrea Calandra mette in musica e parole l’addio, struggente e malinconico, tra Marta Abba e Luigi Pirandello. Ne viene fuori un piccolo gioiello dal titolo “Martuzza mia” che celebra la disperata umanità del drammaturgo siciliano nell’anno in cui Agrigento è designata Capitale italiana della Cultura 2025.
Con la sua fiorente produzione artistica ricercatamente in dialetto, da sempre Alessandro D’Andrea Calandra esplora e narra le vicende, la storia, i personaggi, le leggende, i costumi della sua terra. Consapevole che, raccontare Agrigento significa, poi, naturalmente, raccontare Pirandello, il personaggio più illustre del Novecento, al quale Girgenti ha dato i natali, lo fa prendendo spunto dalla lettura delle oltre cinquecento lettere che il geniale autore indirizzò a Marta Abba, la diva del teatro per la quale nutriva sentimenti che andavano al di là della stima professionale. Quelle nel decennio 1926-1936, soprattutto le ultime, dell’addio.
Le passioni, le ossessioni, l’esistenza più intima di uno straordinario figlio di Sicilia declinate nella splendida Martuzza mia di Alessandro D’Andrea Calandra
Pirandello maledice il mare che sta portando via la “sua” Marta e ricorda i bei tempi andati, quando i due erano una cosa sola: “Giganti eramu!”. Musa ispiratrice l’una, scrittore da Nobel l’altro. Dappoi la drammatica ammissione che, con lei lontana, non potrà più avere alcun impulso creativo: “Senza li to aluzzi di libellula sta me manu è petra”. Per giungere, infine, a un epilogo tragicamente premonitore: “Lu mari a chista età chiù scuru si fa e di stu viaggiu nun si torna”.