Un gruppo di epidemiologi di Harvard per ridurre la diffusione del contagio da Coronavirus ha stimato di praticare il distanziamento sociale fino al 2022. Per il loro studio, i ricercatori di Harvard sono partiti dalle conoscenze più diffuse su altri due coronavirus, HCoV-OC43 e HCoV-HKU1. I ricercatori indicano come cosa essenziale l’avvio dei test sierologici, che attraverso il prelievo del sangue consentono di verificare se l’organismo abbia prodotto o meno una risposta immunitaria. Diverse aziende farmaceutiche e centri di ricerca sono al lavoro per sviluppare un vaccino.
(UMDI-UNMONDODITALIANI) Secondo un gruppo di epidemiologi dell’Università di Harvard per ridurre la diffusione del contagio da Coronavirus ha stimato che potrebbe essere necessario praticare il distanziamento sociale fino al 2022. L’isolamento potrebbe essere svolto per meno tempo al periodo di due anni nel caso in cui sia prima trovato un vaccino, o siano sviluppati farmaci più efficaci per trattare il COVID-19, la malattia causata dal coronavirus (SARS-CoV-2). E’ stato condotto uno studio, il quale è uno dei primi a fornire simulazioni su cosa potrebbe accadere subito dopo l’attuale picco della pandemia. Il SARS-CoV-2 è noto da meno di quattro mesi e ha iniziato a diffondersi globalmente da meno di due mesi, sono state scoperte molte caratteristiche sul Coronavirus ma diversi dettagli sfuggono ancora: non sappiamo per esempio se e per quanto si resti immuni dopo averlo contratto, e questo complica enormemente le previsioni su che cosa potrà accadere nei prossimi mesi. Per il loro studio, i ricercatori di Harvard sono partiti dalle conoscenze più diffuse su altri due coronavirus, HCoV-OC43 e HCoV-HKU1, questi due virus portano a epidemie di malattie respiratorie (per lo più lievi) nel periodo invernale, indicando che nel periodo invernale le abitudini della popolazione possano facilitare la trasmissione. Il nostro sistema immunitario sembra non riuscire a serbare memoria per molto tempo dei virus e ogni volta deve imparare da capo a riconoscerli e a sbarazzarsene. Diversi studi indicano che rimaniamo in media immuni a OC43 e HKU1 per circa un anno dopo averli contratti. In altre ricerche è stato inoltre segnalato che chi contrae OC43 e HKU1 sviluppa una reazione immunitaria anche contro il SARS-CoV-1 (il coronavirus che causa la SARS) e viceversa. Il SARS-CoV-1 ha alcune cose in comune con l’attuale coronavirus, quindi il nuovo studio non ha escluso nelle sue valutazioni che i virus OC43 e HKU1 possano avere un ruolo nel contagio, in prospettiva con il ritorno del freddo in autunno. Anche la presenza dell’attuale coronavirus nella popolazione potrebbe variare come avviene per i virus influenzali non solo a seconda delle stagioni, ma anche delle aree geografiche. La ricerca si è quindi concentrata sulle zone del mondo con clima temperato, dove vive circa il 60 per cento della popolazione mondiale. Nel periodo estivo ci potrebbero essere più individui suscettibili alla malattia, perché ci sarebbero meno possibilità di immunizzarsi vista la minore circolazione del coronavirus. Nello scenario in cui il SARS-CoV-2 determini un’immunità permanente: il virus potrebbe sparire per cinque o più anni, dopo avere causato una grande ondata di contagi come quella che stiamo vivendo adesso. Se SARS-CoV-2 si rivelasse inoltre in grado di renderci anche immuni a OC43 e HKU1, questi due altri coronavirus potrebbero diventare sempre meno diffusi e forse scomparire. Nelle varie simulazioni condotte dai ricercatori di Harvard eliminando la variabile della stagionalità, si è registrato un aumento dei contagi nel momento in cui sono stati eliminati gli effetti del distanziamento sociale. Non è stata però rilevata una correlazione stabile tra la durata dei periodi di distanziamento e una riduzione dei picchi dell’epidemia. L’isolamento potrebbe determinare una minore immunizzazione della popolazione, con la conseguenza di avere ugualmente un picco – nel momento in cui vengono eliminate le restrizioni – simile a quello che si sarebbe ottenuto senza interventi. Un aumento significativo dei posti letto nelle terapie intensive potrebbe essere d’aiuto ad accelerare la risoluzione del problema, diffondendosi più rapidamente, il coronavirus comporterebbe una maggiore immunizzazione tra la popolazione, consentendo di ridurre i tempi del distanziamento sociale. In questo modo diventerebbe più sostenibile una più rapida diffusione del virus tra la popolazione, con i casi gravi che potrebbero essere trattati dai sistemi sanitari senza il collasso degli ospedali. I ricercatori indicano come cosa essenziale l’avvio dei test sierologici, che attraverso il prelievo del sangue consentono di verificare se l’organismo abbia prodotto o meno una risposta immunitaria. Diverse aziende farmaceutiche e centri di ricerca sono al lavoro per sviluppare un vaccino, ma sarà necessario un anno circa prima di ottenere qualche risultato concreto. Il futuro del vaccino contro il coronavirus è inoltre legato strettamente alla possibilità o meno di diventare immuni.