I problemi economici verificatisi in ambito artistico e culturale vengono esplicati dal critico d’arte e saggista Luca Nannipieri che, per evitare ulteriori aggravamenti nel settore, interpella lo stato per quanto riguarda un tempestivo intervento.
(UMDI – UNMONDODITALIANI) Il Coronavirus colpirà, sull’aspetto economico, molte più persone di quanto sia il numero dei deceduti che, sfortunatamente , viene costantemente aggiornato dalla protezione civile. Il settore “arte, spettacolo e cultura”, ovvero musei, biblioteche, teatri, festival, librerie, case editrici, rassegne, con tutte le professionalità specifiche di riferimento, è e sarà il più colpito. Se, per le giustificate esigenze di salute pubblica, lo stop a tutte le attività culturali proseguirà ancora a lungo, vi sarà il collasso sistemico del settore. Inutile girarci intorno: decine di migliaia di professionisti della cultura, ovvero archeologi, storici, critici d’arte, archivisti, bibliotecari, curatori, restauratori, guide turistiche, scenografi, progettisti, ricercatori, produttori teatrali, assistenti negli atenei non avranno più alcuna entrata economica. Già da tempo il settore “arte, spettacolo e cultura” vive una disoccupazione cronica, facilmente riassumibile dal luogo comune secondo cui il dentista lo paghi, l’idraulico lo paghi, l’elettricista lo paghi, la cena al ristorante la paghi, mentre la conferenza e lo spettacolo li fai gratis perché non ci sono soldi per la cultura. Ma il Coronavirus sta trasformando drammaticamente la disoccupazione (o la precarietà) cronica del settore in disoccupazione sistemica, ovvero irreversibile. La chiusura a tempo indeterminato di musei, siti monumentali, biblioteche sta comportando e comporterà guadagni zero per lungo tempo per tutti coloro che vi lavorano e che non sono integrati da forme contrattuali di tutela pubblica. Non c’è un livellamento al ribasso dei guadagni. C’è l’azzeramento. Prima guadagnavi poco, ma comunque sopravvivevi. Ora, e per un tempo indeterminato, guadagni zero. Le vittime economiche saranno tantissime.
REALTÀ E BARATRO
Ascolto quotidianamente al telefono restauratori, archeologi, curatori di mostre, guide turistiche, organizzatori di festival e rassegne, insomma partite iva, che si sono visti cancellare, disdire, revocare, non il 20 per cento delle loro attività, ma il 100 per cento. La totalità dei loro introiti. Mi scrive, ad esempio, la restauratrice Eleonora Coloretti, che i quotidiani toscani annoverano retoricamente tra le donne orgoglio della sua città per la competenza maturata nella perizia del restauro: “Quando i riflettori si riaccenderanno sulla nostra realtà, saremo sull’orlo del baratro“. Non è vittimismo, non è piagnisteo per ricevere misericordioso assistenzialismo statale. È la realtà. Senza misure antirecessive coraggiose e concretissime del Governo da attuare da subito, sopravvivranno nel settore soltanto i dipendenti pubblici garantiti (i loro stipendi magri sono pur sempre stipendi mensili) e i collaboratori di enti culturali pubblici o privati prestigiosi, come ad esempio la Scala o il Museo Egizio di Torino, a cui lo Stato difficilmente potrà negare i fondi che già richiedono. Per le partite iva che invece sono disseminate sul territorio e vivono di mostre, conferenze, restauri, libri, perizie, consulenze, collaborazioni a progetto, senza ruoli di vertice in qualche ente riconosciuto, sarà uno sterminio.
IL SETTORE DELLA CULTURA
I musei, le biblioteche e i siti monumentali sono i primi a essere stati chiusi, a seguito delle iniziali avvisaglie del contagio virale: mentre gli stadi, i ristoranti, le industrie, le discoteche, le palestre hanno continuato a fatturare e dunque a far guadagnare per almeno una settimana, dieci giorni, il settore arte e cultura (complici la sua passività e il suo servilismo fantozziano) è stato il primo a saltare: proibite le aggregazioni nei musei, mentre continuavano a essere lecite e consentite le aggregazioni nei pub e nelle stazioni sciistiche d’alta montagna. Ora che anche tutte queste attività sono state sospese, ci ritroveremo al seguente scenario: non appena l’ondata di contagi verrà contenuta, come tutti speriamo al più presto, i parrucchieri torneranno a riaprire e avere gente che va a farsi i capelli, i carrozzieri torneranno ad avere auto da sistemare, i bar torneranno ad avere caffè e cappuccini da servire a colazione, mentre con la cancellazione generale a data indefinita di attività convegnistiche, festival, rassegne, conferenze, mostre, saloni, con la scomparsa pressoché totale dei turisti per almeno tutto il 2020 (secondo voi quanti stranieri verranno quest’estate da noi?), con le televisioni impegnate a fare video-spot con i vip che invitano a stara a casa e leggere un libro (come fai a leggere un libro quando la casa ti brucia?), il settore “arte, spettacolo e cultura” vivrà il suo cedimento strutturale più drammatico.
IL RISCHIO DEL COLLASSO
Ci sarà il collasso. Il Governo ascolti queste decine di migliaia di professionisti della cultura invisibili: non serve rinviare l’iva e le tasse, perché, se non guadagni nulla, quale iva versi e quali tasse potrai pagare? Per la prima volta nella storia repubblicana, occorreranno misure antirecessive straordinarie, come ad esempio per un anno la cancellazione delle tasse e un reddito generalizzato di quarantena per le partite iva. Sono decisioni che alzeranno il debito pubblico, ma lo farebbero per salvare vite umane, perché non ci si ammala solo di Coronavirus. Senza queste misure straordinarie che sono urgentissime, prepariamoci a un biennio 2020-21 costellato, ahimè, di morti per virus e di vittime economiche sul lavoro.