di Giulio Capone *
Il paziente senegalese è la storia vera di un uomo che aspettava in silenzio il suo turno nel mio ambulatorio di Medico di Famiglia. Si preoccupava di non dare fastidio a nessuno. Il colore nerissimo della sua pelle, il non conoscere bene la nostra lingua, gli abiti dimessi…. Mi colpì il suo atteggiamento dignitoso
Il paziente senegalese, una sorta di Racconto di Natale. Per oltre quarant’anni ho esercitato la professione di Medico di Famiglia. L’ho sempre amata. Mi permetteva di conoscere le persone, non soltanto sotto il profilo medico ma soprattutto sotto quello personale. Mi ha aiutato molto la dimensione dell’ascolto. Non era affatto tempo perso quello di venire a conoscenza della loro vita, dei loro problemi personali, anzi mi aiutava a capire meglio il perché di certe loro patologie, delle loro modalità reattive.
Conoscere le persone per una corretta diagnosi
Per troppo tempo abbiamo sottovalutato e trascurato l’importanza di questo tipo di rapporto con le persone (alias pazienti). La Medicina Tradizionale è vero che ci ha insegnato a fare l’anamnesi, a raccogliere i dati della loro storia clinica, delle loro abitudini, del loro passato. Tutto questo era finalizzato alla diagnosi e quindi alla terapia del caso.
Capire il perchè di certe patologie
l limite era proprio questo. Individuare il motivo per il quale erano venuti da noi. Nella realtà il discorso è molto più ampio. La diagnosi rappresenta l’ epifenomeno di un quadro più vasto, il confluire di più cofattori che magari, col tempo, hanno determinato il quadro patologico.
La pelle nerissima, gli abiti dimessi
Mi scuso per questa lunga premessa. Volevo raccontare il caso umano di un signore senegalese che frequentò il mio ambulatorio per un periodo di tempo. Quando veniva, aspettava in silenzio il suo turno. Si preoccupava di non dare fastidio a nessuno. Non nascondo che veniva guardato dalle altre persone con una certa diffidenza, se non sospetto. Motivo?! Non lo so. Forse il colore nerissimo della sua pelle, il non conoscere bene la nostra lingua, gli abiti dimessi. Non lo so.
La statuetta di legno
Mi colpì il suo atteggiamento dignitoso. Parlava poco ma si faceva capire benissimo. Lo stimavo. Un giorno mi portò una statuetta di legno. Raffigurava, in modo stilizzato, la figura di un uomo che congiunge le mani, in alto, sul capo. Gli chiesi quanto volesse. Mi rispose che era un regalo per me. Rimasi meravigliato e gli domandai il perché. “Tu non mi hai mai trattato male!”. Questa fu la sua risposta.
Le braccia al cielo per una spiritualità oltre gli schemi
Trattenni a stento la commozione. Lo avrei abbracciato di slancio. Mi si inumidirono gli occhi. Ora quella statuetta continua a vivere nella mia casa, con quelle braccia rivolte verso il cielo, espressione di una dignità e di una spiritualità luminosa che non teme il tempo.
* Giulio Capone, medico di Medicina Generale, specialista in Dermatologia
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