È stato presentato a Roma, la scorsa settimana, il rapporto ‘’L’Europa dei talenti’’. Il fenomeno esaminato: le migrazioni qualificate dentro e fuori l’Unione Europea, che sono un caso sempre più rilevante. Presi in esame le potenzialità, e gli aspetti critici.
(UMDI UNMONDODITALIANI) Brain waste, dispersione di cervelli. Eccellenze italiane, che vanno via dal Paese, e quelle straniere poco valorizzate. Un esodo alterno ma continuo, che non arresta partenze e arrivi. Le migrazioni qualificate sono una moneta a doppia faccia, con punti di forza, e criticità. Questi i punti presi in esame, durante la presentazione del volume L’Europa dei Talenti, presso l’Auditorium di Via Rieti a Roma, promosso dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, e realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS. “Un paese come l’Italia – osserva Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – che invecchia rapidamente e che continua a perdere competitività, con una economia in recessione, dovrebbe avere il coraggio di aprire i propri sistemi economici, produttivi e di ricerca ai giovani talenti, sia italiani sia stranieri, prima che essi optino per l’abbandono del paese. La dominante retorica della ‘chiusura’ non solo rivela la chiusura mentale di chi la alimenta, ma autocondanna il paese a un futuro sempre più asfittico e infecondo”. In un’Europa, che progressivamente invecchia in assenza di immigrazione, la forza lavoro diminuirà di 17,5 milioni nel prossimo decennio, in larga misura in Italia, e già oggi si riscontrano 3,8 milioni di posti liberi a causa delle carenze in settori chiave come le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la sanità, mentre gli attuali 12 milioni disoccupati per oltre la metà hanno un basso livello di competenze. Entro il 2020, si determinerà la mancanza di 756mila figure altamente qualificate nelle telecomunicazioni, e di circa 1 milione nel settore sanitario tra dottori, infermieri, dentisti, ostetriche e farmacisti. Secondo la Commissione Europea, l’immigrazione altamente qualificata può assicurare fino a 6 miliardi di euro di vantaggio economico annuale. Eppure, il mercato del lavoro UE stenta ad utilizzare a pieno il talento degli stessi immigrati già presenti, e poco funzionale risulta lo strumento della Carta blu UE, che nel 2017 ha contato appena 24.305 rilasci (di cui solo 301 in Italia). In ogni caso, l’aumento delle occupazioni non o poco qualificate tra gli altamente qualificati comunitari attesta un processo di crescente sottoutilizzo di questi giovani migranti, connesso con le difficoltà economiche, che coinvolgono quasi un’intera generazione, alle prese con la disoccupazione diffusa, la crescente instabilità lavorativa, un costo della vita relativamente più alto rispetto al salario. Del resto, è significativo che i due terzi degli studenti internazionali non-UE, una volta laureati, preferiscono insediarsi in un paese non europeo. Bisogna valorizzare in modo adeguato queste teste preparate, e non lasciare, che il fenomeno della dispersione diventi una prerogativa.
QUALCHE DATO
All’inizio del 2017 sono 16,9 milioni i cittadini comunitari attivi in un altro Stato membro, oltre a 2 milioni di frontalieri (sia lavoratori che studenti). Tra di essi, 3,6 milioni sono lavoratori mediamente qualificati e quasi 3 milioni altamente qualificati (numero quasi triplicato rispetto al 2004). Un terzo è inserito in settori altamente qualificati, come la sanità (11,0%), le attività professionali, scientifiche e tecniche (12,0%) e l’istruzione (10,6%). In Italia la situazione è ancora meno soddisfacente per il basso tasso di occupazione (10 punti percentuali e 3,8 milioni di occupati in meno rispetto alla media UE-15). Notevoli sono le carenze in alcuni comparti ad alta qualificazione (sanità, istruzione e pubblica amministrazione). In particolare, dei 2.423.000 occupati stranieri rilevati dall’Istat nel 2017, quasi 2 su 3 (62,8%) svolgono professioni non qualificate o operaie e solo 1 su 14 (7,2%) fa lavori qualificati, risultando più spesso sovra istruiti (nel 35,5% dei casi gli immigrati svolgono mansioni al di sotto del loro livello di formazione). Continuano tuttora a essere limitati gli spazi offerti ai lavoratori qualificati non comunitari (5.000 nel 2017). “L’Italia – commenta il prof. De Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” – soffre l’assenza di una strategia in grado di attrarre lavoratori qualificati nei comparti strategici, dove i ridotti investimenti bloccano l’impiego sia di nuove leve italiane sia di quelle in arrivo dall’estero, facendo del paese un tipico caso di spreco di talenti, di cui fanno le spese i giovani, sia autoctoni sia immigrati”. Non a caso, secondo l’Ocse, l’Italia è l’ottavo paese del mondo per numero di emigrati. L’Aire attesta, che nel 2017 gli italiani residenti all’estero (oltre 5.114.000, di cui quasi 2.657.000 per espatrio) sono in aumento. I cancellati alle anagrafi sono stati 114.000 nel 2017 (120.000 secondo le prime stime dell’Istat per il 2018), da maggiorare per un coefficiente di 2,5/3 volte se, come ha fatto Idos, si tiene conto delle registrazioni effettuate nei paesi europei di arrivo. Si tratterebbe, insomma, dello stesso livello di espatri degli anni ’60, con la differenza che ora a lasciare l’Italia sono molti laureati. Nella fase attuale, l’Italia ha perso nel 2017 tra i 90mila e i 108mila connazionali altamente qualificati e, che tra il 2002 e il 2017 sono stati circa mezzo milione i laureati, che sono andati a cercare fortuna all’estero, di cui almeno un terzo non è più rimpatriato.