I peccati di Creten a Roma, nel turbamento interiore di ciascuno di noi: un’aringa gigante, e un pipistrello, il potere, la politica e la spiritualità, la femminilità. Le opere dell’artista fiammingo, controcorrente e intrigante, nelle splendide sale della Villa che sorge sugli Horti Luculliani risalenti al 115 a.C. La mostra, curata da Noëlle Tissier, riapre al pubblico dopo tre mesi di chiusura per la pandemia da Covid, accompagnata da un catalogo in tre lingue
I peccati di Creten raccoglie per la prima volta in Italia, precisamente a Villa Medici, in Roma, cinquantacinque opere in bronzo, ceramica e resina dello scultore fiammingo. La pandemia da Covid ha fatto segnare tre mesi di chiusura. E dunque cade a pennello l’annuncio della prestigiosa Accademia di Francia a Roma, che proroga la durata della mostra, inaugurata il 15 ottobre 2020, quando sembrava che il coronavirus avesse le ore contate, fino al 23 maggio 2021.
L’esposizione artistica è curata da Noëlle Tissier ed è organizzata dall’Accademia di Francia a Roma, nella stupenda Villa Medici a Trinità dei Monti, con il sostegno delle gallerie Almine Rech e Perrotin.
Catalogo in 3 lingue
La riapertura al pubblico è accompagnata dalla pubblicazione del catalogo in tre lingue (inglese, francese ed italiano). Il volume offre un’immersione nell’opera di Johan Creten ed include dei testi inediti degli storici dell’arte Colin Lemoine, Nicolas Bourriaud e le fotografie di Gerrit Schreurs.
“Turbamento interiore” The New York Times
L’opera di Johan Creten – ha detto Gay Gassmann – T Magazine, The New York Times – parla al turbamento interiore di ognuno di noi, come individui ma anche come società, trattando temi come la natura, la femminilità, il potere, la politica e la spiritualità.
Johan Creten, artista controcorrente e intrigante
Johan Creten è un artista precursore e controcorrente, figura forte, enigmatica e intrigante. Dotato di una visione estremamente attuale della nostra società, ha saputo ritagliarsi uno spazio specifico all’interno della scena internazionale della creazione contemporanea. Distintosi fin dagli anni Ottanta per l’uso innovativo della ceramica, è attualmente considerato una figura di spicco nel campo dell’arte contemporanea.
I peccati di Creten: il filo conduttore della mostra
La mostra “I Peccati” raccoglie, per la prima volta in Italia e su tale scala, un insieme di cinquantacinque opere in bronzo, ceramica e resina, affiancate ad alcune opere storiche di Lucas Van Leyden (1494-1533), Hans Baldung (1484-1545), Jacques Callot (1592-1635), Barthel Beham (1502- 1540) e Paul van Vianen (1570-1614).
I peccati di Creten: la prima sala
La prima sala si apre con una serie di creazioni e ri-creazioni di opere concettuali del 1986. Accanto a “The Garden” (realizzato nel 1996-97 durante la residenza dell’artista a Villa Medici) e a opere più significative come “Présentoir d’Orange” (1989-2017) e “Plantstok” (1989-2012), questa sala mette in discussione il nostro rapporto con l’introspezione e la consapevolezza di noi stessi, evocando il concetto di paradiso perduto e di tentazione.
I peccati di Creten: la seconda sala
Nella seconda sala, una nuova monumentale opera in resina “Muses et Méduses”, iniziata nel 2005 e completata nel 2019, dialoga con brani della famosa serie metonimica “Odore di Femmina” (iniziata nel 1998) sulla seduzione, l’ambiguità dei sentimenti e le relazioni umane.
I peccati di Creten: le opere politiche
Una terza sezione riunisce opere altamente politiche tra cui il bronzo “Il prezzo della libertà” (2015), “Couch Potatoes” (1997) e una nuova serie di ceramiche “Wargames” (2019).
I bronzi della scalinata
Un gruppo di enigmatici bronzi si trova dislocato lungo la scalinata, a sollevare la questione della coscienza morale in una società coinvolta in un continuo movimento, in profonda mutazione.
I peccati di Creten e l’aringa di 5 metri
La scultura monumentale “The Herring” domina l’ultima sezione con i suoi 5 metri di altezza. A questa si aggiunge una scultura che verrà presentata per la prima volta al pubblico: si tratta di una rivisitazione di Doccia, con collaborazione con gli storici laboratori della Porzellanmanufaktur Augarten.
I peccati di Creten: i Bolders
Diffusa in tutto lo spazio della mostra, una nuova serie di “Bolders” in gres smaltato invita il pubblico a sedersi, prendere tempo, osservare le opere per scoprirne le connessioni e immergersi in magnifici dettagli: superfici di vetro scintillanti, significati nascosti e metafore.
Slow art
Johan Creten parla di “Slow art” e della necessità di un ritorno all’introspezione. Un movimento, che va dalla miniatura alle figure monumentali, che ci permette di appropriarci del nostro tempo e di immergerci in un’esplorazione del mondo con i suoi tormenti individuali e sociali, per un viaggio pieno di sorprese ed emozioni.
Johan Creten: tra passato e presente
Le sculture di Johan Creten, realizzate tra il 2019 e il 2020 appositamente per la mostra attualmente in corso a Villa Medici, si aggiungono alle opere che scandiscono la sua carriera dagli anni Ottanta a oggi, e sono qui abbinate a stampe, arazzi e bassorilievi del XVI e XVII secolo appartenenti alla sua collezione personale. Queste opere storiche scelte dall’artista sono veri e propri riferimenti nel suo processo creativo, che rivelano le sue preoccupazioni dal punto di vista artistico, storico, politico e filosofico.
L’intreccio di queste opere all’interno dell’esposizione stravolge la nostra percezione da molteplici punti di vista, che dal passato mettono in discussione il futuro della nostra umanità.
Johan Creten: chi è?
Nato nel 1963 in Belgio, Johan Creten è uno scultore fiammingo con sede a Parigi. Lavora in tutto il mondo, dall’Aia a New York, da Miami a Città del Messico. Ha esposto in particolare nelle sale rinascimentali del Louvre in dialogo con Bernard Palissy e al Museo Eugène Delacroix di Parigi, al Museo d’Arte Bass di Miami, alla Biennale di Istanbul, al MAMCO di Ginevra e al Museo Middelheim di Anversa.
Si è distinto fin dagli anni Ottanta per l’uso innovativo della ceramica. Oggi è considerato una figura di spicco del rilancio di questo materiale nel campo dell’arte contemporanea.
Un altro aspetto della sua opera è l’uso virtuoso del bronzo nella realizzazione di sculture monumentali, di cui un importante esempio, “De Vleermuis – Il pipistrello”, è presentato sul piazzale di Villa Medici.
Nel 2009 è stato nominato per il Premio della Cultura fiamminga.
Per il 2020, parallelamente alla mostra “I Peccati” presentata all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, Johan Creten presenterà una mostra personale alla Perrotin Gallery di Parigi dal 17 ottobre al 20 dicembre 2020, intitolata “Entracte”.
Villa Medici
Sorge nel luogo dove un tempo, alla fine del periodo repubblicano, Lucio Lucinio Lucullo (115 – 57 a.C.), generale romano, fece collocare i suoi giardini (conosciuti come horti Luculliani) e tra il 66 ed il 63 vi fece costruire una grande villa, con una grande esedra, al di sopra della quale si trovava il tempio dedicato alla Fortuna. In seguito la villa passò prima a Valerio Asiatico e poi a Messalina. Proprio in questi giardini si suicidò Valerio.
La tenuta fu occupata dalla famiglia patrizia degli Acili, e poi dei Pinci, da cui l’attuale nome della collina. La storia di Villa Medici inizia nella seconda metà del Cinquecento quando il cardinale Marcello Crescenzi decise di ingrandire ed abbellire il primitivo edificio a pianta quadrangolare con cortile interno per farlo divenire un palazzo in grado di competere con le dimore signorili dell’epoca. La casa a due piani con torre divenne così una delle più prestigiose ville di Roma. Nel 1803 Napoleone volle che la villa divenisse la nuova sede dell’Accademia di Francia, fondata da Luigi XIV nel 1666 per consentire ai giovani pittori francesi di studiare a Roma. E così la villa accolse feste e ricevimenti mondani: particolarmente grandiosi quelli organizzati in occasione dell’ultima incoronazione di un sovrano francese, Carlo X, avvenuta a Reims nel 1825, in occasione dei quali fu eretto pure un obelisco con un’iscrizione in geroglifici recante le lodi del nuovo sovrano, per la stesura della quale ci si avvalse dell’opera dell’egittologo Champollion.
A cura di Eliza Kiemiesz
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