Il muro del pianto, il tempio del Santo Sepolcro; il rito della candela, odori di spezie dai profumi intensi, local food che fa parte della tradizione millenaria di queste genti. E la vicina Betlemme con la sua chiesa della natività. Un viaggio in Palestina e l’impegno a parlare ai giovani
Non ero mai stato a Gerusalemme. Ne avevo sentito parlare molto, da chi vi si era recato decenni prima, come di un luogo magico dove le tre religioni monoteiste avevano trovato una sintesi non episodica. L’idea della spianata delle moschee aperta a tutti credenti, non credenti, agnostici, curiosi; il muro del pianto, luogo sacro nei secoli ove tutti potevano pregare ciascuno a proprio modo, l’unico Dio, quello che vede e giudica nella dimensione dell’infinito nel tempo e nello spazio. Il tempio del Santo Sepolcro, con tutte le interpretazioni che se ne possono dare “a prescindere”; il rito della candela posta per chiedere l’intercessione divina per le nostre miserie terrene. Il tutto, tra vicoletti affollati all’inverosimile, intrisi di odori di spezie dai profumi intensi, di variopinti banchetti di frutta e verdura, di luoghi modesti, ma dignitosi, dove prendere un the o un caffè ovvero cibarsi del poco, ma qualitativamente elevato “local food” che fa parte della tradizione millenaria di queste genti. E la vicina Betlemme con la sua chiesa della natività che da secoli attira un mondo variegato di ebrei, cristiani, mussulmani, con tutte le loro differenze interne , spesso incomprensibili ai più, se non allorché se ne approfondisca la storia. Perché non molti sanno che nel Corano sta anche scritto che un buon Mussulmano deva amare Ebrei e Cristiani in quanto “antenati” della “nuova religione” che dalle due precedenti trae origine. Ma il Luogo, questo Luogo, non è più Lui! Complice un terrorismo cieco e brutale, ma anche per una esplicita volontà di Israele di prendere definitivo possesso della storia dei popoli, i posti di blocco si sono moltiplicati a dismisura. I muri sono sorti ad indicare quella volontà di separatezza esibita a più non posso! Muri reali e virtuali, ma soprattutto barriere ideologiche che impediscono il dialogo. Luoghi ove l’odio viene coltivato nelle scuole e si riverbera ad ogni piè sospinto nella prevaricazione ostentata del più forte verso il più debole. Sono un pallido ricordo i tempi in cui si viveva in stretta colleganza allorché il venerdì ebrei e cristiani si avvicinavano ai mussulmani, il sabato era la volta di mussulmani e cristiani ad aiutare gli ebrei e la domenica tutti insieme a festeggiare l’amicizia di popoli e credi. Perché tutto questo? È proprio così necessario vivere la diversità nel reciproco disprezzo ormai disumano? Io non credo che non ci sia più nulla da fare! Anzi sono sempre più convinto che dall’educazione scolastico e dalla cultura che unisce possa ripartire il dialogo. E ciò mi è sembrato ancor più vero allorché un professore palestinese, con il quale ho a lungo discusso, dopo aver assentito sui miei assunti, invero espressi più con il cuore che con la ragione, mi ha chiesto se ero disponibile a tenere una conferenza in una università israeliana! Mi è sembrato inverosimile, ma in realtà, la proposta aveva un fondamento. Parlare ai cuori delle persone significa entrare in contatto con i tuoi simili. Fare Ponti “umani” è proprio questo, e nella mia vita ho sempre voluto costruirli, questi ponti, per poi percorrerli tutto insieme per raggiungere l’altra sponda, forse ignota e per ciò ritenuta pericolosa: eppure è il luogo dove vivono i nostri fratelli. Ecco, i muri crollano e con quelle pietre costruiamo tutti i ponti che possiamo! Non saranno mai abbastanza per viverli di comune accordo. E’ questo che vorrei dire a tutti i giovani! Abbandonate l’odio che uccide e abbracciate l’amore che vive e fa vivere. Non più muri! Solo Ponti, Ponti e Ponti..
di Enzo Siviero (Rettore Università e-Campus)
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