Abbattere i muri del pregiudizio e della diffidenza, il discorso del Capo dello Stato. Mattarella fa luce su molteplici questioni legate al fenomeno dell’emigrazione. Regole comuni per distinguere profughi che commettono reati da rimpatriare da coloro che fuggono da guerre o persecuzioni e hanno diritto all’asilo a ad un futuro migliore.
(ITM – UNMONDODITALIANI) In occasione del messaggio di Auguri agli italiani per in nuovo anno 2016, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella ha affermato “In questo periodo masse ingenti di persone si spostano, anche da un continente all’altro, per sfuggire alle guerre o alla fame o, più semplicemente, alla ricerca di un futuro migliore. Donne, uomini e bambini: molti di questi muoiono annegati in mare, come il piccolo Aylan e, ormai, purtroppo anche nell’indifferenza». Le vicende dei migranti colpiscono, irritano, innamorano, dividono. C’è chi sogna muri per bloccarli e chi li accoglierebbe tutti cancellando ogni frontiera. Eppure occorre andare oltre, scorgere il bene e il male non tutto di qua o tutto di là: c’è umanità e sogno fra chi difende la propria identità come fra chi cerca un’altra patria per giorni migliori. E c’è disumanità e illegalità fra chi difende la terra in cui è nato come fra chi fugge dal proprio paese per approdare in terre sconosciute. Coniugare accoglienza e legalità è un difficile esercizio di equilibrio, che tuttavia va ricercato. Se nessun filo spinato ha mai fermato il vento, nessun muro può cancellare l’ansia di libertà e il desiderio di cambiare un destino ingrato. «Il fenomeno migratorio – ci ricorda il presidente Mattarella – nasce da cause mondiali e durerà a lungo. Non ci si può illudere di rimuoverlo, ma si può governare. E si deve governare. Può farlo con maggiore efficacia l’Unione Europea e la stiamo sollecitando con insistenza. Occorrono regole comuni per distinguere chi fugge da guerre o persecuzioni e ha, quindi, diritto all’asilo, e altri migranti che vanno invece rimpatriati, sempre assicurando loro un trattamento dignitoso. L’Italia ha conosciuto bene, nei due secoli passati, la sofferenza e la fatica di chi lascia casa e affetti e va, da emigrante, in terre lontane. Il nostro è diventato, da alcuni anni, un Paese di immigrazione. Molte comunità straniere si sono insediate regolarmente nel nostro territorio, generalmente bene accolte dagli italiani. Tanto che affidiamo spesso a lavoratrici e a lavoratori stranieri quel che abbiamo di più caro: i nostri bambini, i nostri anziani, le nostre case. Sperimentiamo, giorno per giorno, sui banchi di scuola, al mercato, sui luoghi di lavoro, esperienze positive di integrazione con cittadini di altri Paesi, di altre culture e di altre fedi religiose. Il 70 per cento dei bambini stranieri in Italia, lo dice l’Istat, ha come migliore amico un coetaneo italiano. Bisogna lavorare per abbattere, da una parte e dall’altra, pregiudizi e diffidenze, prima che divengano recinti o muri, dietro i quali potrebbero nascere emarginazione e risentimenti». Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità per il valore della legalità, che dovrebbe essere difesa da tutti, ma che spesso è violata da chi giunge in Italia da altre terre, ma anche da chi in Italia è nato e vive. La legalità e il rispetto delle regole fondamentali della convivenza, a cominciare dalla Costituzione, sono la base per una serena integrazione. Il cammino è difficile e lungo, ma c’è un sentiero da percorrere per crescere insieme, nel solco della fratellanza proposta dal Cristianesimo, sostenuta dall’Illuminismo, sancita dalle regole dell’Onu, dell’Europa, dell’Italia.
Ciò tuttavia non può essere avallo dell’illegalità, non può portare a una accoglienza indiscriminata e fuori dalle regole, perché diverrebbe la strada maestra per traffici illeciti, sfruttamento della disperazione, favoreggiamento dell’intolleranza e del razzismo, terreno fertile per il terrorismo. L’accoglienza nel rispetto delle regole, a partire dalla Costituzione Italiana e dai principi fondanti dell’Unione Europea, apre la porta ai veri profughi e agevola l’integrazione. «Serve accoglienza, serve anche rigore – dice il presidente della Repubblica, senza cessioni ad ambiguità – chi è in Italia deve rispettare le leggi e la cultura del nostro Paese. Deve essere aiutato ad apprendere la nostra lingua, che è un veicolo decisivo di integrazione. Larghissima parte degli immigrati rispetta le nostre leggi, lavora onestamente e con impegno, contribuisce al nostro benessere e contribuisce anche al nostro sistema previdenziale, versando alle casse dello Stato più di quanto ne riceva. Quegli immigrati che, invece, commettono reati devono essere fermati e puniti, come del resto avviene per gli italiani che delinquono. Quelli che sono pericolosi vanno espulsi. Le comunità straniere in Italia sono chiamate a collaborare con le istituzioni contro i predicatori di odio e contro quelli che praticano violenza». Gli ottomila chilometri di coste italiane sono una frontiera esterna dell’Unione Europea e quindi devono essere difesi come tutti i confini degli Stati di diritto. Lungo le coste italiane, come lungo le coste greche o spagnole e le frontiere bulgare o ungheresi, occorrono controlli severi, non i passaggi liberi dell’Area Schengen, che è un’acquisizione di civiltà e deve essere difesa senza confondere le divisioni interne con i confini esterni dell’Unione. Occorre superare le chiusure di chi pensa che i muri possano fermare le masse vaganti, ma occorre anche superare il buonismo di chi proclama principi umanitari solo teorici e di fatto tollera l’illegalità. In tutte le dichiarazioni universali i diritti fondamentali dell’uomo sono sempre coniugati con i doveri, e la nostra tradizione dell’ospitalità non può essere confusa con la rinuncia ai principi e valori che hanno accompagnato il cammino della civiltà occidentale. L’Italia e l’Europa hanno storia, cultura, progetti e risorse per far fronte anche all’emergenza umanitaria di questi anni. Ognuno deve fare la sua parte: con leggi adeguate che coniughino pietas e legalità o semplicemente con una stretta di mano o con uno sguardo non ostile al dolore spesso velato di chi è stato accompagnato da un destino meno gentile.