Italia: 24.747 contagi, 1.809 morti. La solitudine della morte e l’umanità dei medici. Muoiono di più gli anziani ma i giovani non sono esclusi. La vittima più giovane è un 47enne bergamasco, soccorritore del 118. I ricercatori studiano nuove cure, i guariti possono essere la soluzione
Allarmanti i dati diffusi: in Italia ci sono stati 24.747 casi di Covid-19, con il 70 per cento di persone colpite che hanno più di 50 anni, 1.809 deceduti e 2.335 guariti. Secondo gli esperti, la curva del contagio italiana è simile a quella cinese, per cui, si assisterà ad un picco nella prossima settimana e, se continuiamo ad agire secondo il modello orientale, la situazione dovrebbe stabilizzarsi. Quello che preoccupa davvero però, è la velocità esponenziale di crescita della curva che, per il momento, non può essere arrestata ma, può rallentare se restiamo a casa, diminuendo le interazioni umane. In Italia ci sarà un numero di decessi più elevato, dovuto all’età media più alta rispetto a quella della regione di Wuhan, però troppo spesso, ci dimentichiamo che dietro quel numeretto crescente si vive la perdita di una vita umana, una persona. Associando le parole “Coronavirus” e “morte”, triste unione che, purtroppo, fa parte della nostra vita da un paio di settimane, si pensa in modo inevitabile alla solitudine. Nel corso della malattia si è costretti all’ isolamento perché pericolosamente contagiosi, la degenza in ospedale viene vissuta lontano dai propri cari perché rischioso restarvi a contatto e, coloro che non riescono a guarire si trovano ad affrontare la morte completamente soli. Da quel momento non si è più una persona, si diventa solo un numero. Non sono concessi funerali, niente addii comunitari, la famiglia è costretta a rinunciare all’ultimo saluto e il dolore si affronta solo via WhatsApp. Trattati come vittime di un’epidemia mondiale, vengono immediatamente aggiunti ai registri e nessuno li ricorda come persone, quali erano prima di ammalarsi. Questa è la storia, ad esempio, di Paolo Pellicioli, 56enne di Alzano Lombardo scomparso nella solitudine di un letto in terapia intensiva, ricordato da sua sorella Cristina su Bergamo News: “Così CARO COVID19 ti sei preso Paolo, mio fratello, marito da una vita di Nadia, papà di Luca e Gloria. Te lo sei preso da infame che sei, strappandolo alla sua vita di colpo, ferendo tutta la sua famiglia, che non ha potuto vederlo, sostenerlo, tenerlo per mano e non contento li hai isolati, rendendo impossibile poterli aiutare, consolarli, abbracciarli, accarezzarli, piangere con loro”. Per tutte le parti in causa questo delicato momento è molto più doloroso del solito. Ad aggiornarci su queste situazioni sono i medici che, da veri angeli custodi, quando possibile restano vicino ai pazienti e li aiutano a contattare come possono le persone che vogliono salutare.
DIEGO, 47 ANNI, VITTIMA PIU’ GIOVANE
Il bollettino della Protezione Civile è molto chiaro, il 98 per cento dei deceduti ha più di sessantotto anni e, tra questi, il 67 per cento aveva delle patologie pregresse ma, ci sono sempre delle eccezioni, per quanto si possa affrontare facilmente al decorso del virus, non si può essere certi dell’effetto che potrebbe avere su ogni essere umano. La vittima più giovane è Diego, bergamasco di 47 anni. Soccorritore del 118, usava tutte le precauzioni del caso nei suoi interventi, se n’è andato nell’arco di 36 ore. Era in ottima salute e, per via del suo lavoro, costantemente controllato ma a nulla è servito davanti al Coronavirus, imprevedibile perché ancora troppo sconosciuto alla scienza. Ad inizio anno nessuno avrebbe mai pensato ad un’epidemia di tali dimensioni, soprattutto, la Cina è così lontana da noi che mai avremmo ipotizzato di essere la seconda Nazione al mondo per numero di contagi. È evidente che ci siano state delle falle nel sistema e a sbagliare siamo stati tutti, nessuno escluso. Nessuno è immune al coronavirus SARS-CoV-2, tutti sono suscettibili e tutti dobbiamo proteggerci rispettando le regole che ci sono state imposte, per la nostra salute e per quella degli altri. Intanto i ricercatori stanno lavorando per creare nuovi farmaci e nuovi vaccini ed è stato ipotizzato l’uso del plasma dei pazienti guariti per aiutare i malati più gravi.
di Pamela Cioffi
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