Sono molti i casi in cui la giustizia interviene quando ormai è troppo tardi; troppo spesso le donne che denunciano episodi di violenza non vengono ascoltate e finiscono per perdere la vita per mano dei propri compagni, mariti o ex. L’ammonimento può essere, in questi casi, un ottimo deterrente
L’assassinio di Lisa Puzzoli, 22 anni, è da ricollegare alla lunga scia di sangue che si ripete a soli dieci giorni dalla giornata internazionale dedicata dall’ONU alla violenza sulle donne. La giovane donna, uccisa in una frazione di Basiliano, in provincia di Udine, nella sua abitazione a coltellate dall’ex convivente, al termine di un litigio dall’uomo che dopo aver commesso il fatto, ha telefonato alle forze dell’ordine e confessato il reato. La donna aveva già in passato presentato denunce per lesioni, minacce, violenza privata ed un fascicolo per stalking del 2010 che era stato archiviato in quanto per il GIP non si trattasse di “atti persecutori”, ma eventi legati allo stato di gravidanza della ragazza. Le norme spesso vengono disapplicate! Per questo motivo, l’ammonimento non necessita di querela e si rivela un ottimo deterrente! Molto spesso i giudici intervengono tardivamente, sottovalutando l’entità delle azioni prodromiche poi all’evento ultimo! Tra il momento della denuncia e l’intervento del Magistrato, spesso intercorrono lunghi lassi di tempo, in quanto a volte inerti o procrastinano troppo azioni che poi risultano fatali. Da studi su procedure e percorsi di indagine su atti persecutori, emergono proprio questi buchi neri nella Magistratura: purtroppo, anche se le denunce sono precise e circostanziate, la scelta dell’intervento è affidata alla discrezionalità del Magistrato. È mio interesse come avvocato, come Responsabile dell’Associazione Donne per la Sicurezza Onlus Puglia e come donna offesa da tutti questi reati e barbarie nei confronti di noi donne, portare avanti queste battaglie, chiedere e pretendere dal Ministero della Giustizia che i P.M. siano preparati e specializzati nel trattare questi reati. La proposta di legge sul femminicidio è un inizio ma non è sufficiente. In primis pretendiamo che scatti al primo atto persecutorio ipso facto la custodia cautelare in carcere con automatica decadenza della potestà genitoriale ove fossimo in presenza di uno stalker padre. Questo potrebbe costituire anche un efficace deterrente,escludendo in ogni caso la concessione degli arresti domiciliari. In alcuni casi assistiamo a casi di allontanamento della vittima e dei figli perché il giudice aveva disposto l’arresto nell’abitazione familiare. E tutto questo è semplicemente assurdo. È solo di qualche giorno fa la lettera che una signora mi ha inviato in qualità di legale dell’Associazione Donne per la Sicurezza Onlus, denunciando l’ennesima violenza subita dalle istituzioni, poiché il P.M. aveva chiesto l’archiviazione del reato di stalking a carico del suo ex marito. È necessario che, nonostante la paura di denunciare, soprattutto quanto il persecutore è il marito, convivente o anche un ex, le risposte delle istituzioni siano sempre concrete ed immediatamente operative. Le norme sono buone, bisogna applicarle. Per esempio l’ammonimento. È un atto amministrativo che viene emesso dal questore al termine di una veloce istruttoria e può essere molto efficace perché non ha le conseguenze della querela, ma si è rivelato un ottimo deterrente. Nel caso di recidiva, la denuncia scatta automaticamente. Se la vittima chiede aiuto ma poi rifiuta di presentare la querela si procede d’ufficio. Posso dire che soltanto nel 18 per cento dei casi siamo intervenuti per la seconda volta. È fondamentale che i magistrati dispongano tutti quei provvedimenti — divieto di contatto, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinarsi al luogo di lavoro — che servono davvero a proteggere le vittime.
di Anna Maria Marinelli
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