La storia del tragico sequestro di Aldo Moro, attentato simbolico allo Stato e alla Democrazia Cristiana, sarà ripercorso in un crescendo di suspance .
Mercoledì 10 e giovedì 11 dicembre, la stagione della “Fondazione Teatro Savoia” di Campobasso si arricchisce di uno spettacolo di teatro civile che ripercorre la cronaca del più tragico sequestro politico del nostro secondo dopoguerra.
Il testo, scritto da Corrado Augias e Vladimiro Polchi, ricostruisce i fatti fino al tragico epilogo, attraverso le numerose lettere scritte da Aldo Moro dalla “Prigione del Popolo”, le immagini d’archivio, i commenti, i punti di vista. Il direttore artistico della “Fondazione Teatro Savoia”, Fabio Poggiali, illustra così l’importante appuntamento a Campobasso: “Quest’anno ricorre il trentennale della morte di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978.
Il regista Giorgio Ferrara con Paolo Bonacelli nelle vesti del compianto uomo politico, portano in scena : “Aldo Moro: una tragedia italiana”, tratto da documenti originali, oltre che dalle commoventi lettere dello statista, scritte in quei drammatici cinquantacinque giorni di prigionia. Non ho avuto esitazioni nel proporre l’evento al Teatro Savoia, anche per rendere onore alla memoria di Moro e dei cinque uomini della scorta uccisi nel barbaro attentato.
Il più giovane di loro, Giulio Rivera, era nato nel 1954 a Guglionesi, un comune a pochi chilometri da Campobasso, e giovanissimo si era arruolato in polizia. Il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, era alla guida della macchina che precedeva quella di Moro. Sono certo che il ricordo di coloro i quali hanno sacrificato la propria vita a difesa delle Istituzioni del nostro Paese, resterà indelebile in tutti noi” Alle 9,15 del 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, la Fiat 130 guidata dall’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, con a bordo l’onorevole Aldo Moro, viene bloccata da un commando di terroristi e crivellata di colpi.
Cinque uomini della scorta vengono uccisi, il presidente della Dc sequestrato. La vicenda umana e politica del rapimento Moro si consumò in 55 giorni: i più lunghi e oscuri dell’Italia del dopoguerra. Non sono bastati 5 processi e 2 commissioni parlamentari d’inchiesta a fare definitiva chiarezza.
Su questa vicenda si sono confrontate due concezioni opposte, a ognuna delle quali va una parte di ragione. I sostenitori del valore della vita umana: bene assoluto al quale ogni altra considerazione va subordinata. I difensori della Repubblica, chi temeva cioè che cedendo ai terroristi si aprisse una spirale di ricatti, che facesse soccombere la concezione stessa dello ‘Stato’.
Ognuna delle due parti poté reclamare una superiore parte di ragione, una forte motivazione di natura etica. Anche questo ha reso l’intera vicenda una tragedia, nel senso greco del termine: un conflitto, uno scontro senza soluzione possibile, che non sia quella stabilita dal fato.
Una tragedia antica, risolvibile solo sulla base di un’idea più religiosa che politica, il dilemma di Antigone: Polis contro Pietas. Allo strazio delle parole di Moro imprigionato, la pièce, con i due interpreti Paolo Bonacelli e Lorenzo Amato, alterna i commenti e gli interrogativi di Sciascia e Pasolini, ma anche i comunicati ufficiali delle Br. Il tutto scandito dall’uso di immagini, tratte dai telegiornali d’epoca e dal recente adattamento cinematografico di Marco Bellocchio.
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