La famiglia CereghinoUna storia ottocentesca di persecuzione religiosa. Due giovani accusati ingiustamente per una bibbia acquistata da un rigattiere. Il tentativo manzoniano di farsi unire in matrimonio dal parroco di San Colombano. L’inquisizione del parroco di Favale, Don Cristoforo Repetti. Appena passate le ultime case di Castello di Favale, in provincia di Genova , in un solitario boschetto tra castagni e acacie,trova luogo il cimitero valdese. Niente statue, niente marmi, nessun candelabro o orpelli di qualsiasi genere, solo pietre ed erba. E’ un semplice cimitero protestante, un cimitero contadino,e sulla lapide più grande è ancora leggibile l’iscrizione dedicata a Giuseppe Cereghino morto a 24 anni, e della compagna, Caterina Costa. I Cereghino erano conosciuti con il soprannome di Scialìn. In inverno migravano verso il Piemonte, la Lombardia, dove facevano i cantastorie
Appena passate le ultime case di Castello di Favale, ridente centro in provincia di Genova, in un solitario boschetto tra castagni e acacie, trova luogo il cimitero valdese indicato da un comune cartello sulla Provinciale che sale al Passo della Scoglina. Per poterlo visitare bisogna lasciarsi alle spalle la strada d’asfalto e inoltrarsi lungo uno stretto sentiero addobbato da ciottoli, che in questa stagione autunnale trova riposo sotto un letto di foglie; mentre in primavera e in estate è l’erba a nascondere la via al quadrato di muri a secco. La natura lo abbraccia con le sue fronde e protegge questo luogo, dove riposano le vittime di una storia di persecuzione.
Fuori, il cancello ormai arrugginito è sbarrato con un ramoscello di legno, dentro, in poco più di una decina di metri quadrati, alcuni cespugli di bosso e due cipressi occupano quasi l’intero spazio, celando alla vista le lapidi mezze dissestate nel terreno umido. Niente statue, niente marmi, nessun candelabro od orpelli di qualsiasi genere, solo pietre ed erba: è un semplice cimitero protestante, è un cimitero contadino. Sulla lapide più grande è ancora leggibile l’iscrizione: “Riunite a quelle del consorte Giuseppe Cereghino fu Giambattista nato il 2 dicembre 1831 morto il 15 agosto 1855 hanno qui riposo le spoglie mortali di Caterina Costa fu Giacomo nata il 20 dicembre 1830 che visse al marito concordissima nella fede cristiana quando l’intolleranza religiosa cagionò loro carcere e sofferenza nella torre di Chiavari e come lui fidente nella divina speranza si addormentò nel Signore addì 28 gennaio 1918.”
Quella dei Cereghino è una storia ottocentesca, ingiallita dal passare del tempo e dal gusto ormai antico. A Favale di Malvaro vivevano diversi rami di questa famiglia, conosciuti con il soprannome di Scialìn.Vivevano facendo i contadini di una terra bella, ma dura e poco generosa, d’inverno quando nei campi fioriva ormai solo galaverna, si spostavano nelle pianure del nord, in Piemonte, in Lombardia, dove con successo facevano il mestiere, oggi purtroppo dimenticato, dei cantastorie. Andrea, Stefano, Antonio e Giovanni attiravano l’attenzione dei passanti cantando le loro canzoni e vendendo foglietti volanti con su scritto il testo. Fu a causa della loro voglia di trovare nuove fonti d’ispirazioni, che si affacciarono sui racconti biblici incappando, però, in una sventurata persecuzione. A quel tempo, parroco di Favale era Don Cristoforo Repetti e proprio a lui si rivolsero per avere una Bibbia, ma trovandosi di fronte a un rifiuto si ingegnarono da soli. Stefano ci lascia nel suo ” Sunto storico” il breve racconto di come e dove riuscirono a trovare la tanto ricercata Bibbia e possiamo leggere: ” Nel 1849, in Genova, Cereghino Andrea, per grazia del Signore Iddio ebbe la Santa Bibbia. La portava a Favale, la leggemmo giorno e notte, con molta attenzione.” Quella che Andrea aveva acquistato, in una delle tante librerie in piazza San Luca a Genova, era la Bibbia nella traduzione seicentesca di Giovanni Diodati, il testo classico delle Scritture per il Protestantesimo italiano. Don Cristoforo Repetti cominciò ad osteggiare i Scialìn in ogni modo, infatti non poteva tollerare che in una casa della sua comunità si leggesse un libro proibito dalla Chiesa di Roma.Le dispute religiose si fecero sempre più accese, fino ad arrivare al rifiuto da parte del sacerdote di unire in matrimonio il giovane Giuseppe Cereghino con la sua amata Vittoria Costa. I due giovani, dopo vari tentativi, uno dei quali addirittura manzoniano, infatti con un espediente andarono ad urlare le proprie volontà di unirsi in matrimonio davanti al parroco di San Colombano, senza, però trovare terreno fertile perché quest’ultimo velocemente si chiuse in canonica, decisero allora di andare a vivere insieme; questo diventò quindi una delle armi in mano ai loro persecutori. L’unione di Giuseppe e Vittoria viene denunciata da don Repetti alle autorità secolari per condotta immorale e cospirazione contro la religione dello Stato.Le case dei Cereghino furono circondate dai carabinieri, li portarono via a piedi incatenati, tra gli insulti dei compaesani, fino a Chiavari, dove furono imprigionati in attesa del processo. Quest’ultimo condannò i Cereghini a pene lievi, scarcerandoli dopo pochi giorni, ma Giuseppe, segnato dai pochi mesi di carcere e dalle umiliazioni, morì il Ferragosto del 1855.
A poca distanza dalla tomba di Giuseppe e Vittoria trova spazio la moglie di Stefano, Caterina Cereghino, e proprio di fronte, una pietra inclinata, come in un inconsapevole inchino, porta il nome di Leone Garbarino, protestante, erborista e agronomo, che volle essere sepolto qui in questo ristretto recinto di pietra. Accanto al cancello, sul muro, una lastra di ardesia posta in epoca recente dagli evangelici, ma già consumata dalle intemperie, reca ancora distinguibile l’immagine di una lucerna che strappa il velo dalle tenebre.
di Ilaria Ghelfi
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