Dal punto di vista terapeutico/riabilitativo, usare i contesti dell’agricoltura per promuovere progetti di reinserimento significa riconsegnare il corpo a una dimensione più naturale, con i tempi dell’attesa e della stagionalità caratteristici del lavoro agricolo.
L’agricoltura con le sue pratiche legate al lavoro della terra e con gli animali, e il sociale, ambito generico e astratto che ha che fare con la tutela del popolo nella sua interezza, con particolare attenzione alle persone svantaggiate. Mettere insieme due ambiti così differenti significa trovare dei punti di aggancio, con vantaggi per entrambi gli interlocutori dello scambio, cosicché dalla somma delle parti possa emergere un terzo punto, un terzo polo al di fuori del continuum: l’agricoltura sociale, appunto, che negli ultimi anni ha trovato in Italia lo spazio che altrove -per esempio i luoghi del nord-Europa, in primis l’Olanda con le care farm- aveva già conquistato da tempo. L’agricoltura sociale prevede l’inserimento di vari tipi di persone affette da handicap psichici, persone con trascorsi di tossicodipendenza, ragazzi affetti da autismo che negli ultimi tempi sono stati cacciati dal mondo del lavoro.
CONTESTI AGRICOLI USATI A LIVELLO TERAPEUTICO
Dal punto di vista terapeutico/riabilitativo, usare i contesti dell’agricoltura per promuovere progetti di reinserimento significa riconsegnare il corpo a una dimensione più naturale, con i tempi dell’attesa e della stagionalità caratteristici del lavoro agricolo. All’università di Pisa, nel lavoro del prof.Francesco Di Iacovo, portano avanti da anni un lavoro di promozione di interventi e progetti di questo tipo. La difficoltà maggiore, nel trattamento e nel recupero di persone con problematiche di handicap di vario tipo o disturbi della personalità, è riconsegnarli a una normalità sociale che preveda, per loro, la possibilità di sentirsi parte del gruppo sociale e di percepirsi connessi agli altri. Quest’ultimo punto è un problema molto antico. Anni fa si usava il termine ergoterapia per descrivere il potere curante di un’attività manuale a contatto con altre persone, in alternativa alla cronicizzazione e al rischio della lungodegenza. Usare il contesto agricolo significa inoltre rispondere all’urgenza “biofilica” dell’uomo, che lo riporta sempre, come per una forma di nostalgia incurabile, al contatto con la natura e i suoi tempi quando in cerca di un periodo di ristoro e di “cura”.