La strategia dell’Agopuntura Urbana proposta da Jaime Lerner ripresa dal più celebre architetto al mondo, Massimiliano Fuksas, ci fornisce le soluzioni per risolvere il corpo urbano e la sua visione olistica, le analisi, lo studio e le conseguenti soluzioni, le quali, non sono da ricercare nella complessità ma piuttosto nella semplicità degli interventi, ma a patto di comprendere quali saranno i cittadini, con quale cultura e con che visione del mondo.
Massimiliano Fuksas, tra i più noti architetti al mondo, visita L’Aquila, cinque anni dopo, e dice che per curare la città ci vuole l’agopuntura, intende rifarsi all’idea di Jaime Lerner, ex sindaco di Curitiba, creatore della agopuntura urbana, che nel 2007 ha scritto: “Credo che qualche “pozione magica” possa e debba essere somministrata alle città, dal momento che molte sono malate e alcune quasi in stato terminale. Come per la medicina è necessaria l’interazione tra paziente e medico, nella progettazione urbana è allo stesso modo necessario sollecitare una reazione da parte della città; stimolare un’area in modo che diventi essa stessa capace di aiutare a guarire, a migliorare e creare positive reazioni a catena. È indispensabile negli interventi finalizzati a rivitalizzare un’area rendere l’organismo capace di funzionare in maniera diversa”.
Ma sempre a patto di coinvolgere professionalità e competenze vere e non inventate o improvvisate. C’erano tutti quelli che contano ad accompagnare Fukas nel giro in città: il governatore D’Alfonso, il sindaco Cialente, il sottosegretario Legnini, il vicepresidente della Giunta regionale Lolli, il presidente del Consiglio regionale Di Pangrazio e i consiglieri Pietrucci e Di Nicola e tutti hanno annuito quando ha detto che è necessario provvedere al ripristino dell’ordine, del verde negli spazi pubblici, delle aree parcheggio e, soprattutto, rilanciare la capacità degli aquilani di guardare al futuro riportando vita nel tessuto sociale. Parole autentiche da non dimenticare per aver chiara la necessità di ricostruire prima di tutto una cultura perché, altrimenti, come scriveva Calvino, si faranno edifici ma non si costruiranno città.
Ciò che credo si debba fare, convinto in questo anche dal fatto di aver studiato e a lungo l’agopuntura ed anche l’agopuntura urbana, è in primo luogo rinunciare alla modernità come inquietudine e ipermovimento sconnesso, alla brutale equazione tempo=denaro, per sentirci di nuovo padroni di noi stessi e della nostra vita, per tornare a riflettere sul senso della Storia, sulla memoria, sulle idee-guida del mondo che sentiamo nostro.
A proposito di questo concetto invito a rileggere Anne Chen (Chiacchiere: vita quotidiana e narrativa in Cina, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1996.) che sottolinea come l’uso di un linguaggio appiattito e veloce (l’inglese nel mondo occidentale, il putonghua in Cina), rischia di farci implodere in una dimensione senza veri spazi di libertà in cui il tempo diviene quantitativo e non qualitativo e la riflessione tacciata di “orpello” e decisamente contestata e marginalizzata.
Invece occorrerebbe ricercare le proprie radici, recuperare “il tempo nel passato quotidiano” che la cultura dominante ha inutilmente tentato di eliminare.
E questo recupero, necessariamente, inizia con il linguaggio in tutte le sue espressioni verbali e non verbali, per ricordare il lascito da cui veniamo e poter progettare una “civitas” che sia espressione dinamica di una cultura particolare, ciò di un particolare modo di concepire la vita e la sua organizzazione. Come ha scritto la studiosa sarda Silvana Fasce in “Hic manemus optime”, l’uomo di ogni tempo ha elaborato una concezione dello spazio a partire dalla realtà che lo circonda e in cui si trova a vivere.
Allo spazio l’uomo attribuisce significati e valori, al punto che, “nell’immaginazione linguistica e culturale il tempo si fa spazio” e costruisce le sue relazioni su base locativa: ante/post, davanti/dietro per la relazione di anteriorità/posteriorità, sopra/sotto, alto/basso, per indicare la topografia del tempo suggerita dal linguaggi.
Sono importanti, allora, più dei contenuti specifici, avvenimenti culturali che si svolgono a L’Aquila in questi giorni, atti a delineare la vocazione autentico e l’autentico spirito del luogo e dei suoi abitanti, orientati per natura al passato, ma non fermi in questo.
Mi riferisco, nello specifico, a “L’Odissea”, portata nella versione teatrale di Derek Walcott, che Alessandro Preziosi ha pensato per tre serate, da venerdì 25 a domenica 27 luglio, presso le 99 Cannelle, nel cuore de L’Aquila, dopo “Trolio e Cressida” del 2012 e “Sogno di una notte di mezza estate” dello scorso anno, con il TSA che ripropone, in occasione del suo cinquantesimo anniversario, una nuova emozionante rappresentazione, tesa, come ha detto Preziosi: “ a scoprire la Itaca di ognuno, per quel “ritornare a casa” tanto auspicato dalla popolazione aquilana, tornare a casa, cercare di raggiungerla in ogni modo usando intelligenza , cultura, etica…”.
Ed ancora, mercoledì 30, a Bazzano, presso la Biblioteca Provinciale Salvatore Tommasi, l’inaugurazione di un Museo del Cinema, curato dall’Istituto Cinematografico Lanterna Magica”, patrocinato dalla Direzione Nazionale del Cinema, spazio concepito per movimenti emotivi e non filologi, cronologici o tematici, capaci di “proiettare” il cinema in una dimensione emotiva di autenticità culturale, nella dialettica continua fra opera e fruitore.
Al centro di entrambi gli eventi la narrazione, per dire la distanza fra realtà e suo racconto ed indicare come, di fatto, ogni vicenda assume valori e contenuti diversi in relazioni a chi la costruisce e chi la raccoglie.
Il racconto di Omero alle 99 Cannelle costituisce la chiusura della edizione 2014 de “i Cantieri dell’Immaginario”, che, secondo l’assessore alla cultura Betty Leone: “ costituiscono il tessuto culturale che ha permesso a L’Aquila di rimanere viva”.
Nella rappresentazione costruita dal TSA, il cuore è tutto nel processo psicologico per cui “prima il ‘cuore’ memorizza, poi rivive e capisce”, sperimentato, ad esempio, da Telemaco , nell’accorgersi di aver parlato con la dea Atena solo quando riferisce ai Proci e che ci fa comprendere che l’unico approccio veramente fecondo alle letterature è questo continuo viaggio fra ieri e oggi, che come aquilani, ora, ci riguarda più direttamente.
Odisseo possiede la parola (con la quale seduce la casta Nausicaa), possiede la forma verbale del racconto che è visione del mondo, come accadrà poi ne “Le mille e una notte”, nel “Decamerone”, nei “Tales of Canterbury”, in cui, per dirla come Beroges, si ricorda più ciò che si è letto che ciò che si è vissuto, esattamente come nel cinema migliore, che parte dalla realtà non per fotografarle, ma per darle un contenuto di conoscenza estetica e morale.
di Carlo Di Stanislao
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