Perché nonostante le ripetute denunce delle vittime non si agisce tempestivamente? Perché chi di dovere non interviene? Queste le domande di un Paese dilaniato dal fenomeno del femminicidio. I numeri parlano chiaro: si verifica un femminicidio ogni tre giorni. Donne uccise dai fidanzati, mariti, compagni, ma anche dai padri a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte di vita non condivise.
(UMDI – UNMONDODITALIANI) Luana, Marinella, Anna, Bonaria, Nelly, Nadia, Ashley, Anna Maria, questi sono solo alcuni dei nomi di donne che hanno avuto lo stesso tragico destino. Morte ammazzate da uomini a cui erano sentimentalmente legate, compagni, amanti, nipoti o figli. Questi aguzzini si sono macchiati di reati spaventosi e molti di loro girano ancora a piede libero mentre i familiari delle vittime e tutta l’Italia aspettano che la legge faccia il suo corso. Invano? Sarà la magistratura a deciderlo. Dall’inizio del 2016 si registrano in Italia già 12 casi di femminicidio. Notizie come queste suscitano lo sconcerto di tutti eppure non sono le prime notizie dell’anno sulla violenza alle donne. Il 2016 era cominciato da appena due giorni quando una donna di Ragusa, viene liberata dopo essere stata segregata in casa dal suo convivente, che da due anni le impediva di uscire picchiandola quotidianamente. Il giorno dopo una donna di Città di Castello viene uccisa da suo figlio a coltellate. Dall’autopsia è emerso che la donna è stata colpita una decina di volte alle spalle, alla gola ma anche al petto e alle mani, ferite procurate nel tentativo di difendersi. Firenze, 9 gennaio: la trentacinquenne Ashley Olsen viene trovata senza vita nel suo appartamento fiorentino. Dopo circa 72 ore viene fermato per l’assassinio, Cheik Tidianee Diaw, ad incastrarlo la prova del Dna. L’uomo ha poi confessato di esserci andato a letto e di averla uccisa per derubarla. Il 15 e il 16 di gennaio due anziane sono stata uccise dai rispettivi nipoti: una è stata massacrata a Mestre con una sega elettrica, l’altra a Sassari con un vaso di cristallo. Catania, 1 febbraio: la 41enne Luana Finocchiaro viene uccisa strangolata nella sua abitazione, ad essere fermato è il suo ex, Vincenzo Di Mauro, 37 anni, con cui la donna aveva avuto il suo terzo bambino. Lo stesso giorno a Brescia il corpo di Marinella Pellegrini viene trovato senza vita sul pavimento della cucina, è stata uccisa a coltellate con ferocia tale da essere quasi decapitata. A sgozzare la 55enne è stato il marito Paolo Piraccini, che dopo il delitto ha telefonato al cognato dicendogli di aver ucciso Marinella e di avere intenzione di ammazzarsi. Il 56enne, si è messo alla guida della sua auto imboccando contromano l’autostrada e finendo la sua corsa contro un tir. Cremona, 12 gennaio 2016: Nadia Guessons, madre di due figli, viene uccisa dal marito che l’ha strangolata a mani nude prima di tentare a sua volta (non riuscendoci) il suicidio. La vittima, che lavorava in una mensa, avrebbe compiuto 46 anni il 2 marzo. L’uomo, Saddike Chabli, disoccupato di 57 anni, ha scritto di avere ucciso la donna perché lo voleva lasciare. L’uomo era stato denunciato dalla moglie per maltrattamenti in famiglia all’inizio del 2012, ma il processo non si era celebrato. Cetraro, 27 gennaio 2016: Anna Giordanelli viene uccisa per strada, colpita ripetutamente con violenza con un’arma poi rivelatasi un piede di porco. A essere fermato per l’omicidio, poche ore dopo il rinvenimento del cadavere, è l’ex cognato Paolo Di Profio, infermiere 46enne che l’avrebbe uccisa perché la riteneva responsabile della separazione da sua moglie, sorella della vittima. L’ultima vicenda di atroce violenza riguarda Carla Caiazzo, 38 anni, di Pozzuoli. La donna è stata data alle fiamme dal suo compagno Paolo Pietropaolo di 40 anni, già noto alle forze dell’ordine per reati di droga. Dopo una furiosa lite scoppiata tra i due in strada, nei pressi della loro abitazione, l’uomo le ha cosparso il corpo di alcol dandole fuoco. La donna portava in grembo una nuova vita, nata fortunatamente grazie al personale sanitario dell’Ospedale Cardarelli di Napoli che è riuscito a trarre in salvo la piccola Giulia Pia. Carla invece sta ancora lottando tra la vita e la morte, presenta il 50 % di ustioni sul corpo, gli organi interni hanno subito gravi danni ed è in prognosi riservata nel reparto di Terapia intensiva del Cardarelli. Intanto su Paolo Pietropaolo, che subito dopo l’aggressione era fuggito in auto, si concentra forse troppa attenzione mediatica. Il carnefiche ha dichiarato: “volevo sfregiarla, era troppo bella”. L’accusa per l’uomo è di tentato omicidio. Lo spietato aguzzino l’aveva avvisata, voleva strozzarla, investirla con l’auto. E’ stata richiesta una perizia psichiatra per Pietropaolo, ma anche laddove venisse confermata una condizione maniaco depressiva, le precedenti minacce di morte, le sue ripetute ed esplicitate intenzioni di arrecarle danni permanenti non lasciano nessuno spazio ad attenuanti.
Perché nonostante le ripetute denunce delle vittime non si è agito tempestivamente? Perché chi di dovere non è intervenuto prima?
Queste le domande di un Paese dilaniato come pochi dal fenomeno del femminicidio. La parola suona male ma serve. Definire in modo appropriato la categoria criminologica del delitto contro una donna perché è donna, è necessario. I numeri parlano chiaro: si verifica un femminicidio ogni tre giorni. Donne uccise dai fidanzati, mariti, compagni, ma anche dai padri a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte di vita non condivise. Come ricorda l’esperta e avvocato Barbara Spinelli, consulente dell’ONU in materia di violenza sulle donne (autrice del libro “Femminicidio, dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale”), questa parola non è un’invenzione dei giornali. Negli anni ’90 una antropologa messicana di nome Marcela Lagarde ha analizzato le violenze perpetuate sulle donne messicane individuando le cause della loro marginalizzazione in una cultura machista e in una società che non dà tutele dal punto di vista giuridico, con indagini lasciate pendere e con lo stupro coniugale non considerato come reato. Lagarde è prima la teorica del termine femminicidio. La definizione racchiude in se l’omicidio e tutte le discriminazioni e violenze psicologiche di cui una donna può essere vittima. Lo definisce così: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne – scrive Lagarde – prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”. Evitare frasi fatte che banalizzano e non spiegano, come “omicidio passionale”, aiuta a cogliere la vera portata del fenomeno. Il femminicidio raramente è frutto di un momento d’ira incontrollata, in molti casi si tratta di azioni premeditate. Il quotidiano La Stampa ha avviato un osservatorio per monitorare i femminicidi estesi su una mappa dell’Italia i casi di cronaca. Dall’inizio del 2013 questo osservatorio ha contato 73 casi di femminicidio e 38 casi di omicidi generici di donne. Nella maggior parte si uccide seguendo una modalità quasi primitivo: con un’arma da taglio, magari un coltello trovato in cucina (sono 34 i casi del genere) oppure a mani nude (33 omicidi). Meno usate le armi da sparo (24 episodi); si contano poi 11 uccisioni con corpo contundente, 5 casi di donne arse vive o avvelenate.I dati dimostrano, infatti, che quattro donne su dieci hanno subìto abusi prima di venire uccise. Sono di più i figli che uccidono le madri (176 vittime, pari 12,1%) dei padri che uccidono le figlie (124 vittime pari all’8,5%). Uscendo dai contesti strettamente familiari, le statistiche rilevano 91 casi (il 4,4% del totale) in cui l’assassino è un amico o un conoscente, 49 femminicidi nei rapporti di vicinato (2,4%) e 29 nei rapporti economici (1,4%). Consistente è poi il numero di prostitute uccise nell’ultimo decennio: 148 vittime.
La scrittrice Michela Murgia ha detto «Perché gli uomini uccidono le donne? La lotta alla violenza contro le donne e al femminicidio dovrebbe essere una priorità di ogni società civile evoluta. Di certe cose non ci occupiamo fino a quando non si verificano tutte insieme in modo tale che diventa impossibile ignorarle. Qualcosa sembra non andare nel giusto verso, e l’obiettivo di prevenire gli omicidi e proteggere le vittime, in molti casi non è stato raggiunto, anche perché – purtroppo – in giro ci sono persone che ancora pensano che il femminicidio sia colpa delle donne. In questa strana Italia ancora divisa tra voglia d’Europa e Family Day, ma incapace di riconoscere che c’è qualcosa di sbagliato e distruttivo nel modo in cui impostiamo i rapporti di relazione che chiamiamo “famiglia”. Che sia tradizionale o arcobaleno, che lo stato la riconosca o meno, quel sistema di legami e la sua faccia oscura ci riguardano tutti e tutte, allo stesso modo. Finché non affronteremo il nodo del potere nascosto in quello che chiamiamo amore, il Paese che ammazza le donne non sarà un buon posto per nessuno».
Fermare la violenza è possibile, attraverso azioni mirate, destinando risorse ai centri antiviolenza, rafforzando le reti di contrasto ad essa tra istituzioni, scuole e privato sociale qualificato, perché sempre più donne possano sentirsi meno sole e educando gli uomini a non esercitare mai violenza sulle donne.