Vangelo per il Giubileo sulla scia di Annigoni e nel solco di una tradizione che, osserva Vittorio Sgarbi nella sua prefazione, dal Rinascimento arriva all’Ottocento di Hayez o al primo Novecento di Corcos, Ulisse Sartini, il “ritrattista dei papi”, con la sua pittura ha reso unico questo prezioso Vangelo che, osserva don Antonio Tarzia, a lungo direttore eclettico delle Edizioni San Paolo “vuole essere un piccolo memoriale e un’occasione di pregare con l’arte nell’anno del Signore”
Vangelo per il Giubileo introdotto dal cardinale Gianfranco Ravasi, prefato dal critico d’arte Vittorio Sgarbi e illustrato da trentacinque tavole a colori del celebre pittore Ulisse Sartini. È la grande opera – a tiratura limitata – pubblicata da Archivium. Il primo esemplare è stato consegnato a Papa Francesco
Vangelo per il Giubileo; Matteo, Marco, Luca e Giovanni alla luce dei nostri giorni
I testi degli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni – nella traduzione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana – costellati di dipinti singolari dove momenti importanti della vicenda terrena di Cristo, dall’infanzia al Calvario, dalla Cena di Emmaus all’Ascensione, senza dimenticare guarigioni e miracoli, la presenza di Maria e di Angeli, prendono vita grazie ad una tecnica pittorica straordinaria capace di creare l’illusione della realtà.
Sgarbi e il ritrattista del Papa
Sulla scia di Annigoni e nel solco di una tradizione, che osserva Vittorio Sgarbi nella sua prefazione, dal Rinascimento arriva all’Ottocento di Hayez o al primo Novecento di Corcos, Ulisse Sartini, il “ritrattista dei papi”, con la sua pittura ha reso unico questo prezioso Vangelo che, osserva don Antonio Tarzia, a lungo direttore eclettico delle Edizioni San Paolo “vuole essere un piccolo memoriale e un’occasione di pregare con l’arte nell’anno del Signore”.
Del resto – e lo scrive ancora Sgarbi – “è l’arte, detto altrimenti, la vera, grande religione di cui Sartini si sente sacerdote” e “ogni volta che Sartini dipinge un soggetto religioso ringrazia Dio per avergli dato la possibilità di farlo in maniera così esaltante. È in fondo lui, il suo dipingere, il suo creare dal nulla piccoli miracoli visivi, la prova più lampante dell’esistenza di un Onnipotente”.
La suprema Bellezza divina
A questa ricca sequenza di dipinti selezionati dalla vasta produzione dell’artista fa riferimento anche il denso saggio introduttivo del cardinale Ravasi. Pronto a sottolineare come qui Sartini si sia “assunto lo stesso programma dei suoi antichi colleghi toscani” e abbia “continuato a realizzare sulla tela tanti fogli ideali di quella Biblia pauperum che nel passato sulle pareti delle chiese apriva davanti ai fedeli le parole e le opere di Cristo”.
Dopo essersi soffermato sulla qualità narrativo -simbolica delle Sacre Scritture e la sua impareggiabile costellazione iconografica cui Sartini dimostra di attingere, Ravasi spiega come l’artista piacentino e milanese d’adozione – presente in musei internazionali prestigiosi come la National Portrait Gallery di Londra – in queste pagine, sorta di atlante iconografico sacro, “ha voluto testimoniare in modo personale quella sfida che già Paolo VI, nella cornice emozionante della Sistina, il 7 maggio 1964, aveva così formulato: l’artista cerca di ‘carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità. Era la cosiddetta via pulchritudinis teorizzata dalla teologia medievale, per cui dalla bellezza artistica si ascendeva alla suprema Bellezza divina”.
Su questa stessa via alla quale si ispira anche la linea editoriale di Archivium – Sartini ha interpretato passaggi della trama narrativa, evangelica, confermando senza dubbio che il testo sacro resta pur sempre, come sosteneva William Blake, “il grande codice” della cultura occidentale.
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