Jeff Wall Fondation Beyeler dal 28 gennaio al 21 aprile 2024. Come fotogrammi di un film, le raffigurazioni di Wall sembrano fissare un istante di un accadimento – il prima e il dopo restano ignoti. Il catalogo di mostra, 240 pagine, concepito da Uwe Koch è pubblicato in inglese e in tedesco da Hatje Cantz Verlag, Berlino. Jeff Wall sonda i confini tra realtà e finzione, chiama i suoi lavori «cinematografia». Molte delle sue fotografie sono immagini costruite. Le trasparenze in lightbox con i paesaggi urbani che indagare l’essenza della città, palcoscenico sul quale si dipana quell’infinito intreccio di eventi che costituiscono la vita sociale. Le tecniche digitali che consentono di assemblare una serie di negativi ottenendone un’unica immagine finale. Le sue opere alla Tate Modern di Londra, al Museum of Modern Art di New York, allo Stedelijk Museum di Amsterdam e al Glenstone Museum di Potomac.
Jeff Wall Fondation Beyeler ovvero il binomio vincente che ha portato per la prima in Svizzera, da quasi due decenni a questa parte, un’esaustiva mostra personale dell’artista canadese Jeff Wall (*1946), ad aprire il nuovo anno alla Fondation Beyeler.
Jeff Wall Fondation Beyeler, 50 opere di 50 anni
Wall, che ha contribuito in maniera determinante a consacrare la fotografia come forma d’arte autonoma, ne è oggi uno dei rappresentanti più significativi. Avvalendosi di oltre 50 opere prodotte nel corso di cinquant’anni, l’esposizione copre l’intero spettro del suo lavoro pionieristico, dalle iconiche trasparenze montate in lightbox alle fotografie di grande formato in bianco e nero e alle stampe a colori inkjet. La mostra si concentra poi in particolare sulle creazioni degli ultimi vent’anni, tra cui fotografie mai prima esposte al pubblico. La rassegna nasce dalla stretta collaborazione con l’artista.
Fotografia come il cinema, rielaborata durante e dopo
Nelle sue opere Jeff Wall sonda i confini tra realtà e finzione, casualità e costruzione. A partire dalla metà degli anni ‘70 del 1900, egli esplora modi per ampliare le possibilità artistiche della fotografia. Wall chiama i suoi lavori «cinematografia», individuando così nel film un modello di libertà creativa e inventiva che è ormai scivolato in secondo piano nella forma fotografica predominante, quella definita «documentaria». Molte delle sue fotografie sono immagini costruite che, non solo richiedono un’estesa pianificazione e preparazione, ma implicano anche la collaborazione con attori non professionisti e una complessa fase di postproduzione. Wall elabora rappresentazioni che smentiscono l’idea secondo cui la fotografia sarebbe in primo luogo una riproduzione fedele della realtà.
Anni ’60: arte concettuale
Nato nel 1946 a Vancouver, Canada, dove ancora oggi vive e lavora, Jeff Wall comincia occuparsi di fotografia negli anni ‘60, con la fioritura dell’arte concettuale.
Anni ’70 le lightbox
A partire dalla metà degli anni ‘70 esibisce fotografie stampate su grandi trasparenze montate in lightbox. Con questo formato, fino ad allora prevalentemente associato alla pubblicità, Wall ha introdotto nell’arte fotografica un nuovo metodo di esposizione dell’immagine.
Anni ’90: al Tate Modern, Museum of Modern Art, Stedelijk, Glenstone
Dalla metà degli anni ‘90 Wall ha più volte variato la sua gamma di espressioni artistiche, dapprima con fotografie di grande formato in bianco e nero e, più recentemente, anche con stampe a colori. Le sue opere sono state presentate in numerose mostre personali in tutto il mondo, tra cui nel 2005 alla Tate Modern di Londra, nel 2007 al Museum of Modern Art di New York, nel 2014 allo Stedelijk Museum di Amsterdam e nel 2021 al Glenstone Museum di Potomac.
Fotografia come arte libera
Le immagini di Jeff Wall si muovono tra nota documentaristica, composizione filmica e libera invenzione poetica. Esse mettono gli spettatori a confronto con una pluralità di temi e motivi, con il bello e il brutto, con l’ambiguo e l’inquietante. Wall ritiene che la fotografia debba essere libera come ogni altra forma d’arte nelle scelta tematiche e nella loro trasposizione – poetica come la poesia, letteraria come la letteratura, pittorica come la pittura, teatrale come il teatro – e tutto questo senza rinunciare alle caratteristiche peculiari del mezzo fotografico.
Jeff Wall Fondation Beyeler: pulizie, asini, accostamenti
La mostra alla Fondation Beyeler prende il via nel foyer del museo con la giustapposizione di due opere iconiche risalenti al 1999. Morning Cleaning, Mies van der Rohe Foundation, Barcelonaillustra i lavori di pulizia mattutini svolti nel famoso padiglione prima dell’arrivo del pubblico: un addetto è colto nell’atto di pulire la grande vetrata sul lato rivolto verso il giardino, scena normalmente preclusa al visitatore. A Donkey in Blackpool (1999) ritrae una semplice stalla dove un asino sta riposando. Le due opere mettono in dialogo due mondi socio-culturali assai diversi, benché ad un’attenta osservazione si evidenzino tratti comuni, per esempio il fatto che uomo e animale siano profondamente radicati nel luogo in cui si trovano. La mostra tutta è concepita come una sequenza di accostamenti e contrapposizioni che evidenziano risonanze tra temi, tecniche e generi diversi.
Jeff Wall Fondation Beyeler: la prima sala
La prima sala è dedicata a una serie di trasparenze in lightbox nelle quali predominano i paesaggi. Le vedute di città realizzate tra il 1987 e il 2005 aprono lo sguardo su aree urbane e suburbane nei pressi di Vancouver. Jeff Wall considera i paesaggi cittadini un aspetto saliente del suo lavoro in quanto gli permettono di indagare l’essenza della città, i legami della stessa con le zone periferiche che la circondano, il suo carattere di palcoscenico sul quale si dipana quell’infinito intreccio di eventi che costituiscono la vita sociale.
Scene di vita rielaborate
Le sale seguenti raccolgono svariate scene prese sia in interni che in esterni, in spazi pubblici o privati. Le immagini raffigurano gruppi di uomini e donne, persone povere o abbienti, giovani o anziani. Alcune sono chiaramente molto rielaborate mentre altre a prima vista non sembrano essere state di difficile realizzazione. Troviamo fotografie in bianco e nero, di piccolo o grande formato. Certe appaiono reali e altre inverosimili, ma tutte danno vigore e chiarezza agli umori, agli stati d’animo e ai rapporti più disparati.
Jeff Wall Fondation Beyeler: i lavori più noti
Sono in mostra molti dei lavori più noti dell’artista tra cui After ‹Invisible Man› by Ralph Ellison, the Prologue (1999/2000), che ricostruisce una scena tratta dal romanzo di Ellison (1952) e ritrae il giovane eroe nero del libro impegnato a raccontare la storia nel suo rifugio segreto in uno scantinato illuminato da esattamente 1369 lampadine.
A Sudden Gust of Wind (after Hokusai) del 1993, una delle opere più grandi di Wall, è un adattamento contemporaneo di una stampa della serie di xilografie eseguite da Katsushika Hokusai 36 vedute del monte Fuji (1830–1832 ca.).
Entrambi i lavori traggono origine da opere di altri maestri; Wall si prende la libertà di derivare i suoi temi da qualunque spunto accenda la sua fantasia, il che gli permette di spaziare da scene di vita quotidiana alla storia dell’arte, alla letteratura, al teatro e via via fino al cinema. A Sudden Gust of Wind (after Hokusai) è una delle prime opere in cui l’artista adotta tecniche digitali che consentono di assemblare una serie di negativi ottenendone un’unica immagine finale.
Istanti fissati nell’arte
Presenti in mostra sono anche la maggior parte dei lavori recenti di Wall, per lo più disposti in modo da contrastare decisamente con le immagini del primo periodo. Fallen rider (2022), che ritrae una donna appena disarcionata da cavallo, è appesa di fronte a War game (2007), dove tre ragazzi, apparentemente catturati durante un gioco di combattimento, giacciono a terra in una prigione improvvisata sorvegliati da un quarto giovane. Anche in Parent child (2019) una ragazzina si è distesa a terra, qui però nel bel mezzo di un marciapiede appena ombreggiato da un albero e sotto gli occhi di un uomo che verosimilmente è il padre. Come fotogrammi di un film, le raffigurazioni di Wall sembrano fissare un istante di un accadimento – il prima e il dopo restano ignoti.
La donna che rammenda il calzino bucato
Sulla parete adiacente è collocato Maquette for a monument to the contemplation of the possibility of mending a hole in a sock (2023), che rappresenta un’anziana donna assorta nei suoi pensieri mentre tiene in una mano un ago da cucito e osserva un buco nel tallone consunto di un calzino color lilla. La rammendatrice sembra irreale, quasi un’apparizione che si interroga sulla capacità e la volontà della gente di riparare quanto è consumato, logoro o irreparabilmente danneggiato.
Curatori
L’esposizione è curata da Martin Schwander, Curator at Large, Fondation Beyeler, coadiuvato da Charlotte Sarrazin, Associate Curator.
Jeff Wall Fondation Beyeler e un catalogo di 240 pagine
Il catalogo di mostra, concepito da Uwe Koch in stretta collaborazione con l’artista, è pubblicato in inglese e in tedesco da Hatje Cantz Verlag, Berlino. Oltre alle illustrazioni delle opere esposte, il volume di 240 pagine riporta una conversazione tra Jeff Wall e Martin Schwander, un testo in cui l’artista stesso spiega dettagliatamente la scelta e la collocazione delle opere nelle undici sale, nonché saggi di Martin Schwander e Ralph Ubl.
Mecenati
La mostra è generosamente sostenuta da: Beyeler-Stiftung, Hansjörg Wyss, Wyss Foundation, Cristina and Dr. Thomas W. Bechtler, Ellen and Michael Ringier, così come altre fondazioni, nonché donatrici e donatori che desiderano rimanere anonimi.
Fondation Beyeler
Il museo d’arte di Riehen presso Basilea è internazionalmente rinomato per le sue mostre di altissima levatura, per la sua importante collezione di arte moderna e contemporanea e per il suo ambizioso programma di eventi. L’edificio del museo nell’idilliaco parco punteggiato di alberi secolari e stagni di ninfee è opera dell’architetto Renzo Piano. La sua posizione nel mezzo di una zona ricreativa con vista su campi di grano, mucche al pascolo e vigneti ai piedi della Foresta Nera è unica. Nel parco adiacente, la Fondation Beyeler sta realizzando un nuovo edificio museale con l’architetto svizzero Peter Zumthor, rafforzando così il legame armonioso tra arte, architettura e natura.
E ancora (il direttore UMDI è anche un’artista)
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