Uno nuovo studio mette in evidenza l’efficacia di un sistema di per individuare la patologia. Si tratta di un esame che analizza l’occhio del paziente, alla ricerca di cambiamenti caratteristici della presenza di questa malattia
Un rapido e semplice esame degli occhi potrebbe un giorno aiutare i medici a diagnosticare precocemente la malattia di Alzheimer. A riferirlo oggi sulle pagine di Ophthalmology Retina, rivista dell’American Academy of Ophthalmology, sono i ricercatori del Duke Eye Center, negli Stati Uniti, che hanno dimostrato l’efficacia di un sistema diagnostico per immagini nell’individuare in pochi secondi la presenza di precisi cambiamenti negli occhi caratteristici delle persone che si ammalano di questa patologia.
Diagnosi precoce
Il sistema, chiamato Octa (Optical Coherence Tomography Angiography), rappresenta un passo in avanti per riuscire a trovare un metodo rapido, non invasivo e poco costoso per rilevare l’Alzheimer nei suoi primi stadi. Ancora oggi, infatti, la diagnosi precoce di questa patologia rappresenta per la comunità scientifica una vera e propria sfida. Le tecniche disponibili, precisano gli autori dello studio, presentano ancora diversi limiti: alcune sono troppo costose per uno screening su vasta scala, altre rischiose, poco pratiche o in grado di rilevare i segni della malattia quando è già in una fase avanzata. “Anche se oggi non disponiamo ancora di una medicina in grado di modificare l’andamento naturale della patologia, la diagnosi precoce è importante perché si può intervenire fin da subito sui fattori di rischio che influenzano la progressione della malattia, quali obesità, sedentarietà, scarsa attività cognitiva, ipertensione, diabete e ipercolesterolemia”, spiega Paolo Maria Rossini, direttore dell’area neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma. Inoltre, aggiunge l’esperto, i pochi farmaci attualmente disponibili se erogati precocemente sono più efficaci nel ritardare e rallentare l’andamento della malattia.
Lo studio
Per testare l’efficacia del sistema Octa, i ricercatori lo hanno utilizzato per mettere a confronto le retine di circa 200 persone. Più nel dettaglio, i ricercatori hanno analizzato gli occhi di 39 pazienti con Alzheimer, di 37 persone con compromissione cognitiva lieve, e di 133 persone in buona salute, come gruppo di controllo. Dal confronto è emerso che i pazienti affetti da Alzheimer presentavano una significativa diminuzione della rete di capillari situati nella parte posteriore dell’occhio e un assottigliamento dello spessore di uno specifico strato della retina, lo strato plessiforme interno, rispetto alle persone con un lieve deficit cognitivo e a quelle in buona salute.
Il legame tra retina e Alzheimer
Stando ai risultati, quindi, il sistema permette di misurare in modo preciso e non invasivo la microvascolarità della retina. “Già da alcuni anni era stato proposto un metodo per misurare la presenza e l’accumulo delle placche di beta amiloide sulla retina, ritenendo che questo rispecchiasse quanto avviene nel cervello”, ha concluso Rossini. “Tuttavia, in questo nuovo studio non è stato fatto un confronto degli attuali metodi di diagnosi precoce, come i test neuropsicologici, la Mri volumetrica, il Pet-scan e tanti altri”.Lo studio, conclude l’esperto, quindi non dimostra che il sistema sia migliore di quelli disponibili oggi, ma è in grado di distinguere i pazienti a rischio o che sono già affetti dall’Alzheimer e i soggetti del gruppo di controllo. “Il nostro lavoro non è finito qui”, assicura l’autore della ricerca Sharon Fekrat. “Lo scopo è riuscire a rilevare queste alterazioni nei vasi sanguigni nella retina prima che i pazienti sviluppino cambiamenti cognitivi. Solo allora saremo davvero a un punto di svolta”.
di Andrea De Marco
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