Nato nel Rione Sanità, è stato il simbolo del teatro e del cinema italiano. Soprannominato il “principe della risata” si distinse anche come drammaturgo, poeta, paroliere e cantante
Totò, pseudonimo di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro-genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, brevemente Antonio de Curtis, è stato un artista italiano. Attore simbolo dello spettacolo comico in Italia, soprannominato «il principe della risata», è considerato, anche in virtù di alcuni ruoli drammatici, uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiani. Si distinse anche al di fuori della recitazione, lasciando contributi come drammaturgo, poeta, paroliere, cantante. Maschera nel solco della tradizione della commedia dell’arte, accostato a comici come Buster Keaton e Charlie Chaplin, ma anche ai fratelli Marx e a Ettore Petrolini. In quasi cinquant’anni di carriera spaziò dal teatro al cinema e alla televisione, lavorando con molti tra i più noti protagonisti dello spettacolo italiano e arrivando a sovrastare con numerosi suoi film i record d’incassi. Adoperò una propria unicità interpretativa, che risaltava sia in copioni puramente brillanti sia in parti più impegnate, sulle quali si orientò soprattutto verso l’ultima fase della sua vita, che concluse in condizioni di quasi cecità a causa di una grave forma di corioretinite, probabilmente aggravata dalla lunga esposizione ai fari di scena. Spesso stroncato dalla maggior parte dei critici cinematografici, fu ampiamente rivalutato dopo la morte, tanto da risultare ancor oggi il comico italiano più popolare di sempre. Si fece conoscere a livello nazionale negli anni venti. Grazie ai guadagni potè finalmente permettersi di vestire abiti eleganti e di curare maggiormente il suo aspetto fisico, con i capelli impomatati e le desiderate basette alla Rodolfo Valentino; fu un periodo roseo soprattutto per quanto riguarda le donne, con le quali ebbe una serie di avventure, per lo più con sciantose e ballerine, tanto che acquisì presto la fama di vero «sciupafemmene». Durante la sua vita ebbe una relazione con la ballerina Liliana Castagnola fin quando quest’ultima si suicidò nel 1930. Successivamente conobbe Diana Rogliani dalla quale ebbe una figlia che, in onore della compianta Castagnola, battezzò Liliana.
Gli anni Trenta furono un periodo di grandi successi per il comico che si sentiva finalmente affermato: nel 1933 fu adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, per ereditarne una lunga serie di titoli nobiliari. L’anno successivo mise su casa a Roma insieme alla figlia Liliana e alla compagna Diana Rogliani, per la quale nutriva un’ossessiva gelosia, che sposò nell’aprile del 1935. il vero debutto avvenne nel 1937 con il film “Fermo con le mani!”: il produttore Gustavo Lombardo, fondatore della Titanus, scritturò Totò dopo averlo notato mentre era a pranzo in un ristorante di Roma. Il film però non ebbe gran successo; concepito con mezzi molto scarsi, l’intenzione primaria era proporre al pubblico italiano un’alternativa del personaggio di Charlot, di Chaplin. Nel 1938 Totò fu vittima di un infortunio: ebbe un distacco di retina traumatico e perse la vista dell’occhio sinistro, cosa di cui erano al corrente soltanto i familiari stretti e l’amico Mario Castellani. Nonostante l’incidente, trovò la forza di riaffacciarsi per un breve periodo al teatro d’avanspettacolo, la cui epoca, per lui gloriosa, giunse purtroppo al termine. In quel frattempo, causa il fatto che si sentiva come soffocato dal matrimonio e causa anche la sua opprimente gelosia nei confronti della giovane consorte, la sua vita coniugale entrò in crisi. Decise dunque di ritornare scapolo e si accordò con Diana per la separazione che avvenne in Unheria. Dopo la morte del padre Giuseppe De Curtis, tra il 1945 e gli anni successivi Totò alternò teatro e cinematografia, dedicandosi anche alla creazione di canzoni e poesie, ma anche ad una buona lettura, diligendo in particolar modo Luigi Pirandello. Da quando entrò nel mondo del cinema, gli furono proposti moltissimi film, molti dei quali non venivano nemmeno realizzati, spesso per problemi di produzione o per sua rinuncia. Alcuni venivano girati contemporaneamente, in tempi ristrettissimi e su set spesso improvvisati, tanto che a volte era proprio la troupe che raggiungeva Totò nelle città in cui recitava a teatro. L’attore, complice la pigrizia, era sempre molto precipitoso quando gli venivano proposti dei progetti, ed essendo profondamente istintivo spesso non voleva conoscere nulla della pellicola che andava ad interpretare, affidandosi quindi alle sue qualità creative. Così, come sul palcoscenico, dava libero sfogo all‘improvvisazione: il copione rappresentava solo un timido canovaccio per l’attore, che concepiva sul momento le gag e le battute; così tuttavia nacquero anche alcune delle sue scene cinematografiche più famose.
La morte dei genitori fu l’avvio di uno squilibrio familiare: nel 1951 Diana Rogliani, in seguito a un violento litigio, se ne andò di casa e si sposò; altrettanto fece, appena maggiorenne, e contro la volontà di Totò, la figlia Liliana, unendosi in matrimonio con Gianni Buffardi, figliastro del regista Carlo Ludovico Bragaglia. Totò restò solo, e in quel breve lasso di tempo scrisse la nota canzone Malafemmena. Dal 1952 e fino alla sua morte ebbe una relazione con Franca Faldini. Al culmine della sua carriera, anche se poco prima della morte, arrivarono proposte importanti da cineasti come Alberto Lattuada, Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Con quest’ultimo lavorò nel film “Uccellacci e uccellini”. Alcuni giorni prima della sua morte, Totò disse di chiudere in fallimento e che nessuno lo avrebbe ricordato, dichiarò di non essere stato all’altezza delle infinite possibilità che il palcoscenico offre (riferendosi chiaramente alla sua vera e unica passione, il teatro) e si rimproverò del fatto che avrebbe potuto fare molto di più. Morì nella sua casa di Via dei Monti Parioli, alle 3:25 del mattino del 15 aprile 1967, all’età di 69 anni: venne stroncato da un infarto dopo una lunga agonia, tanto sofferta che lui stesso pregò i familiari e il medico curante di lasciarlo morire. Proprio la sera del 13 aprile confessò al suo autista Carlo Cafiero: «Cafiè, non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza». Secondo la figlia Liliana, le sue ultime parole furono: «Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano», mentre a Franca Faldini disse: «T’aggio voluto bene Franca, proprio assai. Nonostante l’attore avesse sempre espresso il desiderio di avere un funerale semplice, ne ebbe addirittura tre. Il primo nella capitale, dove morì. Il secondo si svolse a Napoli, la sua città natale alla quale era particolarmente legato e la sua gioia più grande sarebbe stata proprio ritornare lì, così fu. Il terzo funerale lo volle organizzare un capoguappo del Rione Sanità, nel suo quartiere, che si tenne il 22 maggio, cioè pochi giorni dopo il trigesimo; ad esso aderì un numero altrettanto vasto di persone, nonostante la bara dell’attore fosse ovviamente vuota.
Di Giuseppe Priolo
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