Comunicazione, musica, arte come veicoli per la cultura. Questo il leit motiv dell’81esima Fiera del Levante, che ha visto la partecipazione di Mina Cappussi, direttore del quotidiano internazionale Umdi – Un Mondo d’Italiani
“7 decenni di pace e un’Unione allargata di 500 milioni di cittadini che vivono liberi in una delle economie più prospere del mondo” così l’attacco di Mina Cappussi che ha ripreso il discorso di Juncker nell’81esima Fiera del Levante di Bari, presso lo stand 152 bis del Consiglio Regionale della Puglia, al convegno organizzato dall’AICCRE dal titolo “Europa: le nuove sfide”. L’incontro si è incentrato sul Libro bianco, presentato al Parlamento europeo dal Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, che apre una riflessione su come l’Ue a 27 potrà essere entro il 2025, a seconda delle scelte degli europei. I Libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico.
Economie più prospere
“7 decenni di pace e un’Unione allargata di 500 milioni di cittadini che vivono liberi in una delle economie più prospere del mondo. Così il Presidente Commissione europea, Juncker nel discorso sullo stato dell’Unione 2016, in occasione della presentazione del Libro bianco sul futuro dell’Europa, per la celebrazione del 60esimo anniversario dell’UE. Ma le problematiche evidenziate nell’ultimo periodo, le ondate migratorie, il terrorismo, la brexit, impongono uno sguardo al futuro dell’Unione in 27. Il Libro bianco, che delinea le principali sfide e opportunità per l’Europa nei prossimi 10 anni, presenta 5 scenari ossia 5 ipotesi di evoluzione dell’Unione da qui al 2025, a seconda di quelle che saranno le scelte generali e dei singoli stati. Quella di un’EUROPA FEDERALE, gli STATI UNITI D’EUROPA, perseguiti dall’AICCRE PUGLIA, rappresenta una soluzione interessante, perché può fare tesoro dell’esperienza, in questa direzione, di una delle maggiori potenze al mondo i cui delegati al Secondo congresso continentale, il 4 luglio 1776, votarono l’atto di nascita degli Stati Uniti d’America. Come puntualizzato da Seymour Martin Lipset, “Gli Stati Uniti furono la prima grande colonia a rivoltarsi con successo contro le leggi coloniali. In questo senso, furono la prima nuova nazione.”
L’importanza della libertà individuale
La struttura del governo della nazione venne profondamente modificata il 4 marzo 1789, quando gli Articoli della Confederazione vennero sostituiti con la Costituzione degli Stati Uniti d’America. La nuova forma di governo rifletteva una radicale rottura con i sistemi del tempo, favorendo la rappresentatività popolare, con un esecutivo soggetto al controllo del parlamento. Il sistema repubblicano prese in prestito le idee dell’illuminismo e della filosofia occidentale e classica e fu posto l’accento sulla libertà individuale e sulla divisione dei poteri fra i diversi organi dello Stato. Oggi l’Europa si trova a vivere un momento delicato, che non è certamente quello di una ribellione coloniale, ma rappresenta un passaggio da gestire con intelligenza e lungimiranza. Sulla necessità e urgenza della Federazione degli Stati Uniti d’America ha scritto Mario Baldassarri su IL SOLE 24 ORE lo scorso 3 maggio: “L’estrema urgenza” sarebbe dovuta ad almeno due ragioni: una istituzionale e una geopolitica e geoeconomica. A motivo della “irrilevanza” dell’Europa su tutti i fronti scottanti del mondo globale.
28 eserciti, 28 aereonautiche, 28 marine
Una Europa-che-non-c’è, che deriva dall’impotenza genetica di un progetto fondato sull’Europa Intergovernativa che richiede quasi sempre l’unanimità di tutti i 28 Stati membri (27 con l’uscita del Regno Unito). Ottenere decisioni unanimi con 27 governi in campo è “statisticamente” impossibile senza neanche ricorrere al teorema di Arrow (formulato nel 1951 da Kenneth Arrow, Premio Nobel per l’economia nel 1972) che, peraltro, dimostra come siano impossibili decisioni democratiche prese a maggioranza, figuriamoci all’unanimità. È come se avessimo fatto dell’Italia una Confederazione nella quale il governo Centrale ed il Parlamento Nazionale non possono assumere alcuna decisione senza l’approvazione unanime dei venti governi regionali. Per “decidere” occorre una Federazione, come negli Usa, in Canada, in Germania. Viviamo tutti in Europa con 28 eserciti, 28 aereonautiche, 28 marine, oltre 50 servizi segreti (ogni stato ne ha più d’uno), non controlliamo i confini “esterni” dell’Unione. Gas-petrolio-elettricità sono mercati concorrenziali fuori dall’Europa, ma quando si entra in Europa diventano cartelli oligopolistici all’interno di ogni stato nazionale con cittadini europei (vedi Italia) che pagano bollette del 30% in più rispetto ad altri cittadini europei (vedi Francia) sulle quali poi si aggiungono carichi fiscali che vanno dal 60% al 180 percento decisi da ogni singolo Stato nazionale. Noi in Italia abbiamo 354 sedi universitarie, fatichiamo ad avere quattro o cinque università riconosciute a livello internazionale e i nostri giovani se ne vanno all’estero per fare dottorati qualificati e per avere poi prospettive di ricerca e di qualificazione all’altezza dei loro saperi e delle loro potenzialità. E si potrebbe continuare…
L’Ue
A oggi il bilancio dell’Unione Europea è pari all’1,5 percento del Pil, il bilancio federale degli Stati Uniti è pari al 25 percento del Pil. Tra l’1,5 percento ed il 25 percento ci sarà pure una via intermedia. E questa non può che essere, per ragioni geopolitiche ma anche per ragioni geoeconomiche, una federazione degli Stati Uniti d’Europa “leggera” basata su quei cinque temi, con un governo federale fatto da un Presidente e cinque ministri, votati dai cittadini e “fiduciati” dal Parlamento europeo. Senza parlare e straparlare di nuove tasse europee aggiuntive, se i soldi che già oggi ogni stato spende per quei cinque temi/funzioni vengono sommati insieme e vengono attribuiti al bilancio federale europeo, si ottiene qualcosa che è pari a circa il 10-12 percento del Pil, cioè a metà strada tra la situazione attuale europea e quella americana. Sessant’anni fa, mossi dal sogno di un futuro pacifico e condiviso, i membri fondatori dell’UE hanno intrapreso un viaggio ambizioso di integrazione europea con la firma dei trattati di Roma. Hanno deciso di comune accordo di risolvere i conflitti attorno a un tavolo anziché sui campi di battaglia. Dopo la dolorosa esperienza di un passato travagliato, quindi, l’Europa ha conosciuto sette decenni di pace e si è trasformata in un’Unione di 500 milioni di cittadini che godono di libertà e opportunità in una delle economie più prospere del mondo.
L’Europa 60 anni dopo
Come ha ricordato il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker : “Sono trascorsi 60 anni da quando i padri fondatori dell’Europa hanno deciso di unire il continente con la forza del diritto, piuttosto che con le forze armate. Possiamo andare fieri di quanto abbiamo realizzato da allora. Il nostro giorno peggiore del 2017 sarà in ogni caso di gran lunga migliore rispetto a uno qualsiasi dei giorni che i nostri antenati hanno trascorso sul campo di battaglia. Con il 60esimo anniversario dei trattati di Roma è giunto il momento, per un’Europa unita a 27, di definire una visione per il futuro. Il Libro bianco della Commissione presenta una serie di percorsi diversi che l’UE unita a 27 potrebbe scegliere di seguire. È l’inizio del processo, non la fine. Il futuro dell’Europa è nelle nostre mani.” Il Libro bianco esamina il modo in cui l’Europa cambierà nel prossimo decennio (dall’impatto delle nuove tecnologie sulla società e l’occupazione ai dubbi sulla globalizzazione, le preoccupazioni per la sicurezza e l’ascesa del populismo) e la scelta che si troverà a fare: subire passivamente queste tendenze o guidarle e cogliere le nuove opportunità che offrono. Mentre altre parti del mondo si espandono, la popolazione e il peso economico dell’Europa diminuiscono. Entro il 2060 nemmeno uno degli Stati membri raggiungerà l’1% della popolazione mondiale, ragione pressante per restare uniti e ottenere maggiori risultati. La prosperità dell’Europa, forza globale positiva, continuerà a dipendere dalla sua apertura e dai forti legami con i partner. Del Libro bianco e dei cinque scenari possibili delineati parleranno con maggiore competenza Giuseppe Moggia (vicepresidente AICCRE) E Giuseppe Valerio (presidente AICCRE Puglia), per quanto mi riguarda vorrei proporre all’AICCRE un nuovo impegno, quello di portare la lingua italiana in Europa.
Basta inglese
Mi spiego meglio. Venerdì, ero come ogni anno alla CAMERA DEPUTATI, Sala Stampa, per il Convegno di presentazione del Festival della Musica Italiana in Argentina. Nel mio intervento ho parlato di un articolo di Tommaso Tecchi secondo il quale i tempi potrebbero essere propizi per rendere la lingua italiana “GREAT AGAIN”, di nuovo grande. Parliamo della lingua di Dante, tanto di moda nel mondo. All’EUROVISION SONG CONTEST 2017 il vincitore dell’ultimo Sanremo, Francesco GABBANI, ha portato a casa il Premio Sala Stampa. Il cantante toscano era tra i pochi partecipanti a cantare nella sua lingua madre, in ITALIANO. Potrebbe essere un caso, e invece è un segnale, se consideriamo un altro fatto. Lo scorso 5 maggio il Presidente della Commissione Europea, lo stesso Jean Claude Juncker di cui abbiamo parlato poco fa, in occasione della conferenza a Palazzo Vecchio a Firenze, ha pronunciato un DISCORSO IN FRANCESE, annunciando la decisione di NON UTILIZZARE PIU’ LA LINGUA INGLESE negli eventi ufficiali dell’Unione Europea. La motivazione? Juncker ha dichiarato che “l’inglese sta perdendo importanza” anche e soprattutto a causa della brexit. Alla luce di quanto accaduto, il fatto che Gabbani abbia cantato in Italiano all’Eurovision Song Contest è effettivamente un segnale.
Grandi opportunità per l’Italia
L’ultimo step del concorso, il Gran Finale del Festival della Musica Italiana in Argentina presentato venerdì alla Camera, che si svolgerà il 25 novembre a La Plata, parla esclusivamente italiano. Al concorso si accede con brani cantati in qualunque lingua, Inglese, spagnolo, francese, per poter consentire la più ampia partecipazione e solleticare il maggior numero possibile di interpreti, ma nel proseguo la lingua ufficiale diventa l’italiano, e anche chi non lo conosce, è “costretto”, se non ad impararlo, a farci i conti, a studiarne la fonetica, la musicalità, il carattere… Se la predizione di Juncker dovesse rivelarsi vera, ovvero se a breve l’inglese non sarà più la lingua mondiale, si aprirebbero importanti opportunità per l’Italia, per far valere un lingua che porta insita dentro di sé una cultura antica che il mondo ci invidia. E’ il senso e il focus del Molise Noblesse Festival di cui l’Aitef è partner, il “riappropriarsi dell’orgoglio e dell’identità delle radici”, ed è il leit motiv del Festival della Musica Italiana a La Plata, dove milioni di Italiani e di oriundi, di 3^, 4^ e successive generazioni, non aspettano altro.
Perchè dobbiamo parlare inglese?
I tempi sono maturi, ci sono le premesse, per rendere di nuovo appetibile, fashion, cool, come si dice, la lingua italiana. L’articolo di Tommaso Tecchi terminava con l’invito a trovare i giusti ambasciatori per riprenderci il primato del Bel Paese. Ebbene, gli alcuni ambasciatori sono qui stamattina nella sala stampa del Parlamento italiano: stiamo facendo ognuno la propria parte per pro muovere l’Italia e nutrire il perduto orgoglio italiano, per riavvicinare l’Italia ai 60 milioni di oriundi che vivono fuori dall’Italia, i veri ambasciatori dell’immagine della nazione nel mondo!
Di Federica Notte