Sant’Egidio è l’emblema di una piccola comunità, richiama la stessa su un’altura a venerare una figura, una montagna, l’amicizia e la semplicità che si ritrova nei piccoli gesti. Un eremo di un piccolo periodo che serve a chiarificare l’anima.
1 settembre 2019 tutti a Sant’Egidio, una tradizione antichissima e il rito più importante per la città di Bojano, forse più sentito della festa per il Patrono San Bartolomeo, sicuramente più vicino alla sensibilità genuina della gente. Il giorno dopo la processione pagana, tradizione di pochi decenni che vede una banda musicale itinerante su tappe costituite da viveri e bevande, è un giorno sacro per i bojanesi. Si sale in montagna con ogni mezzo, per percorrere poi l’ultimo tratto a piedi, tra antichi faggi con folte chiome che ombreggiano il percorso dal sole cocente, che anche esso come se fosse una tradizione, alla fine della celebrazione, si oscura dalle nuvole per proclamare la chiusura della festa. Arrivati nell’altura, accolti dalla profonda frase: “La montagna è come la religione, si ricorre ad essa allorché lo spirito ha bisogno di essere purificato”, e assetati a causa del percorso e dal peso degli zaini, ci si dirige subito verso la fontana, che riversa un’acqua limpida e fresca raccolta dal massiccio del Matese. Bisogna berla quell’acqua, necessariamente, perché essa rappresenta l’anima pura della montagna, di quella sfumatura di verde tipica del Molise che non tramonta mai. Un po’ per la sua morfologia prettamente collinare e montana, un po’ per l’esposizione, un po’ per la natura della roccia e un po’ per la sua posizione geografica il Molise rimane verde quasi tutti l’anno.
IL VOTO E UNA CERVA NEL VERDE MATESELa banda, dopo che tutte le famiglie si posizionano nei loro
posti storici, di cui ci si appropria senza nessun accordo, percorre di nuovo il crinale montano e partecipa alla processione religiosa lungo il pianoro di Sant’Egidio, tra rovi, alberi,
sentieri segnati
da secoli di passaggi, vitelli, vacche e cavalli in libertà, ma soprattutto al centro dell’attenzione,
gli uomini che portano a spalla la statua del santo eremita, ritratto con la cerva, portata fuori dalla minuscola
chiesetta montana del ‘600. La chiesetta collegata al rifugio è crollata ed è stata quindi ricostruita diverse volte. Carico di ex voto, Sant’Egidio appare sotto il sole, nell’aria tersa di montagna, nel ripetersi di un rito che accomuna migliaia di bojanesi, che vivono a Bojano e nel resto del mondo. Alla fine della processione, grazie al
comitato di Sant’Egidio, composto dai veterani della festa, ovvero:
Antonio Iannetta; Nico Nappi; Nicola Amatuzio; Gianmario Romano; Franco Puzo; Renato Schiavone; Ignazio Condursi e Antonio Marra, i suggestivi
spettacoli pirotecnici a cura di Franco Puzo, pieni di colori e di passione, che hanno coinvolto le migliaia di persone convogliatesi presso quel rifugio. Alla fine dei fuochi d’artificio, il tempo di un panino e di un ultimo sorso d’acqua e le nuvole erano già lì, pronte a scaricare il loro pianto, forse dispiaciute della chiusura della festa e dell’estate. I più temerari, nonostante la lunga pioggia, sono rimasti fino alla sera, se non fino al giorno dopo, tra arrosti insaporiti dai fumi del faggio, il vino e il fuoco che fungevano da riscaldamento e il gioco della morra che come un passatempo infervorava gli animi.
di Samuele Doganiero